sono incredibili i progressi della scienza.......
dal corriere.it di oggi
la storia - ecco come avviene l'intervento «in awake» per rimuovere i tumori
Operata al cervello: la paziente parlando «guida» il chirurgo
Il primario del Besta Paolo Ferroli: «Quando il racconto si fa confuso bisogna fermarsi»
MILANO - La voce arriva da sotto un telo blu. «Un mio alunno s’era innamorato di me, voleva sposarmi». È un tessuto leggero da ospedale, sistemato come fosse una capanna. L’anestesista sta là sotto, tiene la mano della donna, la guarda negli occhi. Continua a chiederle: «Davvero voleva sposarla?». «Certo, si era fissato», risponde lei. E continua a raccontare. La sua voce è una guida per il chirurgo, che sta dall’altra parte del telo, e con i ferri lavora dentro la sua testa. Tocca il suo cervello, lo muove, ne sposta delle parti, cerca la strada per arrivare al tumore che s’è formato là dentro, in profondità. Fino a che la donna parla, il medico opera; se il racconto s’inceppa, il chirurgo si blocca. Cerca un altro punto su cui incidere. È la garanzia per evitare danni: la paziente deve rimanere cosciente. Niente anestesia. Senza sedativi. E deve parlare. Sulla litania delle sue parole scorre la linea di un equilibrio fragilissimo. Ore 18.20 di mercoledì scorso, piano terra dell’Istituto neurologico Besta di Milano (ospedale pubblico), sala operatoria D, è ora di richiudere e mettere i punti. Due ore e mezza di intervento. Due masse tumorali rimosse. La paziente è rimasta sempre sveglia.
Lo chiamano intervento in awake. È raro. È complicato. Vederlo eseguire è una meraviglia che impasta tecnologia, coraggio, sapienza, umanità, nervi d’acciaio, affiatamento di squadra. Medicina d’avanguardia e medicina antica. L’unica anestesia è stata quella sulla testa, per l’incisione della cute. Anestesia locale, tipo quella di un dentista. Per tutto il resto (sedazione, dolore, nausea, stabilità cardiocircolatoria) l’équipe del Besta ha usato l’agopuntura. È uno dei primissimi interventi in Italia, e tra i pochissimi in Europa, realizzati con questa tecnica.
Mercoledì pomeriggio, una settimana fa, Maria attende l’operazione e ha paura di due cose. Primo: il trapano. Secondo: sa che ha un tumore superficiale, e quello sicuramente le verrà tolto. Ma per la parte più profonda bisognerà attendere, capire se il medico troverà il modo per arrivarci. Per questo la donna deve parlare, ricordare, raccontare, mentre su un monitor accanto al suo letto si vedono i ferri che si muovono nel suo cervello. Spiega il primario di Neuroanestesia, Dario Caldiroli, che ha lavorato con Amalia Scola, anestesista esperta di agopuntura: «È l’unico intervento in cui il paziente è l’attore principale. È lui che guida la mano del chirurgo».
Paolo Ferroli ha 40 anni, un filo di barba sul volto, grandi occhi chiari sotto la cuffia che gli copre la fronte, è il primario di Chirurgia mininvasiva del Besta. Appena finita l’operazione, si siede in un corridoio alle spalle della sala operatoria. Racconta: «In questo tipo di intervento fai lo slalom in un campo minato. Cerchi il sentiero ». Bisogna trovare la strada tra zone eloquenti e zone mute. Le prime controllano il linguaggio, la logica. Vanno evitate. Sulle mute invece si può incidere. Spiega Ferroli: «Se lo fai in anestesia totale, scopri soltanto dopo, al risveglio del paziente, se hai provocato un danno». Il malato apre gli occhi e non parla più, o non muove più una mano. Per il medico è un incubo.
Con Maria sveglia è il contrario. Il chirurgo stimola le zone intorno al tumore. Se c’è un arresto del linguaggio, o una carenza della logica, sa che lì non può incidere. E Maria, mercoledì pomeriggio, non ha smesso di parlare: dell’Inter, di un ex calciatore della Juve che è stato suo vicino di casa, delle mozzarelle campane che vende suo marito. «Non ho bisogno di fare la mappatura di tutto il cervello—racconta il chirurgo —, devo solo sapere se in quei punti esatti posso andare avanti o no». A un certo punto, da sotto la tenda blu, si sente anche una melodia. «Che canzoni le piacciono? », ha chiesto l’anestesista. «Quelle di Gianna Nannini», ha risposto la donna. E ha provato a cantare un ritornello di Notti magiche, il vecchio inno dei Mondiali. L’intervento dura quasi due ore e mezza. Spiega il chirurgo: «Bisogna fare tutto in un tempo ragionevole, non si può tenere un paziente in quella situazione per cinque ore». Chi opera deve essere rapido e perfetto. L’anestesista: «Se durasse troppo, dovremmo somministrare dei farmaci. A quel punto le risposte del paziente non sarebbero più affidabili. Aumenterebbero i rischi».
Messi i punti, il chirurgo gira intorno al lettino, si toglie il camice, si infila sotto il telo blu a capanna. Si sente una voce: «Ce l’ha fatta a toglierli tutti e due?», chiede la donna. «Sì, ci siamo riusciti». «Bravo dottore, bravo. Si faccia dare un bacio. Domani facciamo una buona merenda».
Gianni Santucci