I professori austeri ci ridurrano così anche a noi?
Il discorso che segue è stato pronunciato da Sonia Mitralia – membro del Comitato greco contro il debito e del CADTM internazionale, di fronte alla Commissione sociale dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, tenutasi il 24 gennaio 2012 a Strasburgo sul tema: “Le misure d’austerità: un pericolo per la democrazia e i diritti sociali”.
A quasi due anni di distanza dal trattamento d’urto imposto alla Grecia dalla Banca centrale europea, dalla Commissione europea e dal Fondo monetario internazionale, il suo bilancio è catastrofico, rivoltante e disumano.
Per cominciare, gli stessi ispiratori di queste politiche ora riconoscono esplicitamente non solo il loro patente fallimento, ma anche come le loro ricette fossero fin dall’inizio completamente sbagliate, irrealistiche, inefficaci e anche controproducenti. Eccone una dimostrazione, che riguarda non una questione secondaria ma l’essenza stessa del problema: il debito pubblico greco in quanto tale. Secondo tutti i responsabili del disastro greco, se le loro politiche (di rigore più che draconiano) risultassero efficaci al 100%, cosa del resto assolutamente illusoria, il debito pubblico greco verrebbe riportato nel 2020 al 120% del Pil del paese, e cioè al tasso che registrava… nel 2009, quando è cominciato tutto questo gioco al massacro! Insomma, quello che oggi ci dicono cinicamente è che hanno distrutto un’intera società europea… assolutamente per niente!
Invece, come se tutto ciò non bastasse, continuano a imporre ai greci - ma praticamente anche a tutto il mondo – esattamente le medesime politiche che loro stessi riconoscono che sono fallite. Così, in Grecia si è arrivati al settimo “Memorandum” d’austerità e di distruzione di servizi pubblici, dopo che i primi sei hanno dimostrato un’assoluta mancanza di efficacia! In Portogallo, in Irlanda, in Italia, in Spagna e un po’ ovunque in Europa si assiste all’applicazione degli stessi piani d’austerità draconiana che approdano dappertutto all’identico risultato, e cioè quello di sprofondare le economie e le popolazioni in una recessione e un marasma sempre più profondi.
In realtà, espressioni quali “austerità draconiana” sono assolutamente insufficienti a descrivere quel che sta accadendo in Grecia. I salari e le pensioni sono stati decurtati del 50% o addirittura, in certi casi, del 70%. La malnutrizione imperversa fra i bambini delle elementari, la fame fa la sua comparsa soprattutto nelle grandi città del paese, il cui centro è ormai occupato da decine di migliaia di Senza fissa dimora (Sdf), affamati e cenciosi. La disoccupazione colpisce ormai il 25% della popolazione e il 45% dei giovani (il 49,5% delle giovani donne). I servizi pubblici sono stati ormai liquidati o privatizzati, con la conseguenza che i posti letto negli ospedali si sono ridotti (per decisione governativa) del 40%, che costa carissimo addirittura partorire, che gli ospedali pubblici sono ormai privi di bende o di medicine di base come l’aspirina.
Lo Stato greco è regolarmente incapace (nel gennaio 2012!) di fornire agli alunni i testi per l’anno scolastico iniziato lo scorso settembre. Decine di migliaia di cittadini greci portatori di handicap, infermi o che soffrono di malattie rare si vedono condannati a morte certa a breve scadenza dopo che lo Stato greco ha tolto loro sussidi e medicine. Aumenta a velocità allucinante il numero di tentati suicidi, come del resto quello di sieropositivi e di tossicodipendenti ormai abbandonati alla loro sorte dalle autorità. Milioni di donne greche si vedono ormai gravate di quelle funzioni che normalmente spettavano allo Stato tramite i servizi pubblici, prima che venissero smantellati o privatizzati dalle politiche d’austerità. La conseguenza di ciò è un vero e proprio calvario per queste donne greche: non solo sono le prime a essere licenziate e sono costrette ad assumersi i compiti dei servizi pubblici lavorando sempre più a casa gratuitamente, ma sono anche bersaglio diretto del riemergere dell’oppressione patriarcale che funge da alibi ideologico per il rientro forzato delle donne in seno al focolare domestico.
Foto Αngelos Kalodoukas
Si potrebbe continuare pressoché all’infinito a descrivere il decadimento della popolazione greca. Ma, anche limitandoci a quanto detto fin qui, si constata che ci si trova di fronte a una situazione sociale che corrisponde perfettamente allo “stato di bisogno” o di rischio che da tempo il diritto internazionale riconosce. E lo stesso diritto internazionale obbliga esplicitamente gli Stati a dare la priorità alla soddisfazione dei bisogni elementari dei propri cittadini e non al rimborso dei suoi debiti.
Come sottolinea la Commissione dell’Onu sul diritto internazionale a proposito dello “stato di bisogno”: «Non ci si può aspettare che uno Stato chiuda le sue scuole, le sue università e i suoi tribunali, lasci cadere allo stesso modo i propri servizi pubblici, abbandoni la propria comunità al caos e all’anarchia semplicemente per disporre in tal modo del denaro per rimborsare i suoi creditori stranieri o nazionali. Ci sono limiti a quel che ci si può ragionevolmente aspettare da uno Stato, così come da una persona singola».
La nostra posizione, condivisa da milioni di greci, è chiara e netta e si riassume nel rispetto del diritto internazionale. I greci non debbono pagare un debito che non è loro, per vari motivi.
Primo: perché l’Onu e le convenzioni internazionali – sottoscritte dal paese ma anche da quelli dei suoi creditori – intimano allo Stato greco di soddisfare come assoluta priorità non i creditori ma i propri doveri verso i suoi cittadini nazionali e stranieri che rientrano nella sua giurisdizione.
Secondo: perché il debito pubblico greco, o almeno una sua parte molto importante, sembra presentare tutte le caratteristiche di un debito odioso, e comunque illegittimo, che il diritto internazionale intima di non rimborsare. Ed è del resto la ragione per cui occorrerebbe fare di tutto non per ostacolare (come sta facendo lo Stato greco) ma piuttosto per facilitare il compito della Campagna greca per l’audit civico del debito onde individuarne la parte illegittima.
La nostra conclusione è categorica: la tragedia greca non è fatale né insolubile. La soluzione esiste, e il rifiuto, l’annullamento e il non pagamento del debito pubblico greco ne sono parte come primo passo nella giusta direzione. Vale a dire, in direzione della salvezza di un intero popolo europeo, minacciato da una catastrofe umanitaria senza precedenti in tempo di pace…