I tedeschi sul piano dell'industrial design non temono confronti nemmeno con noi italiani e hanno una lunga e solida tradizione. La scuola di Berlino, dove Nomos ha il suo centro stile, è una fucina di talenti e idee; basta una visita a quella città per comprendere quanto forte sia il fermento in tal senso, lo respiri nell'aria, lo vedi per la strada nelle architetture d'avanguardia con le quali hanno trasformato (e continuano a trasformare) quel brutto agglomerato di cemento che era il frutto della guerra fredda, ma anche nelle vetrine delle mille botteghe di "artigianato industriale", nelle mostre, nei musei, nelle gallerie d'arte moderna.
Posso dire che gli svizzeri, in questo senso, sono molto indietro. Hanno sempre attinto dall'estero (buona parte dell'orologeria svizzera di stampo classico è ispirata agli stilemi britannici o all'art decó, buona parte della produzione contemporanea è disegnata male e il più delle volte nei pochi casi di successo ispirata da designer con forti legami mittleuropei, per non dire proprio stranieri), non hanno mai saputo sviluppare una propria scuola perché non fa parte delle proprie corde, non è nella loro storia di meticolosi operatori calvinisti tanto metodici e rigorosi quanto mediocri sul piano dell'estetica.
È uno dei motivi per i quali il mercato italiano è sempre stato di primaria importanza per l'orologeria svizzera, perché è sempre stato (almeno fino all'avvento dei cinesi) il banco di prova per capire se un design funzionava o meno, e perché grazie alle relazioni con il nostro know how hanno potuto attingere a molte delle idee poi rivelatesi vincenti.