La discussione sui Lemania 2320 ci permette di leggere la storia recente dell'orologeria sotto una chiave che non può prescindere dal contesto storico. Come molto, troppo spesso, si tende ad ignorare quando si esprimono giudizi sugli orologi del passato ma con implicito riferimento a condizioni al contorno, quelle attuali, del tutto differenti.
Scrivere che un Lemania 2320 non sarebbe all'altezza di un orologio da 60 milioni delle vecchie lire, per di più con la motivazione che è lo stesso movimento rinvenibile su uno speed pre-moon, non ha davvero alcun senso; non ce l'ha sul piano storico, perché ignora del tutto il contesto in cui quella scelta è maturata e i molteplici esempi di pari tipologia, molti dei quali (con il marchio "giusto" sul quadrante) ancor oggi osannati dai più e benedetti da importanti rivalutazioni economiche, e non ce l'ha nemmeno sul piano oggettivo perché ignora del tutto il modo in cui quel movimento è declinato in questi orologi a differenza di quanto non lo sia sui Moon (pure il produttore, pur portando quasi lo stesso nome, di fatto è completamente differente) oltre che la bontà del progetto stesso che è indiscutibile.
Il dato di fatto unico e incontrovertibile è che di una fortunata generazione di cronografi manuali che hanno fatto (davvero) la storia dell'orologeria, sia su produzioni più economiche (vedasi Daytona manuali) sia su produzioni d'alto di gamma come per esempio PP che alle aste fanno registrare aggiudicazioni milionarie (entrambi in questo caso animati dallo stesso Valjoux 22), è l'unico sopravvissuto alla desertificazione post quarzo. Per ragioni meramente fortuite, ossia il fatto che a differenza di altre celebri manifatture fallite negli anni 70 Lemania fu fatta rinascere dalle proprie ceneri da una casa, Breguet, che sotto la guida tecnica dello stesso Daniel Roth aveva voglia di rilanciarsi nell'alto di gamma e proprio in quella antica manifattura sapeva di poter attingere ad un buon numero di progetti e brevetti di assoluto rilievo, come appunto il Lemania 2320. In questo senso precursori di un trend che vedrà il proprio consolidamento negli anni 2000, ossia proprio la riscoperta delle antiche manifatture perdute (e spesso dei loro brevetti) come nel caso di Montblanc con Minerva (o per esempio della stessa L&S).
Quanti oggi disprezzerebbero AP se producesse orologi col Valjoux 22 debitamente rifinito solo perché lo stesso è rinvenibile su cronografi d'epoca dalla quotazione irrisoria (e come dice Erm chiaramente sottostimata), al posto di odiosi cronografi modulari?
Quanti hanno disprezzato i pochi che nei primi anni 90 riuscirono ad accaparrarsi un lotto di Venus 179 proponendoli in piccole serie (tra i quali lo stesso Roth)?
Quanti hanno disprezzato PP che per circa 40 anni ha proposto i suoi cronografi, anche complicati, con lo stesso Lemania 2320 proprio perché unica ebauche comparabile all'ormai indisponibile Valjoux22?
Pochi, direi nessuno che abbia un minimo sindacale di conoscenza dell'orologeria, presente e soprattutto passata. Perchè per trovare qualcosa di "nuovo", rispetto al Lemania 2320, anche nel segmento dell'alto di gamma, nel campo dei crono manuali ad innesto tradizionale abbiamo dovuto attendere più o meno 40 anni. E anche oggi, nell'epoca della c.d. "Manifattura", ho più di una remora a preferirgli altro, specie se è rinvenibile in certe vesti particolari
La risposta al rilievo mosso è che su un cronografo da 60milioni delle vecchie lire, negli anni 90, il meglio che ci si potesse trovare a dispetto di piccole serie limitate con altri cronografi d'epoca
era solo e unicamente un Lemania2320 perchè altro, di fatto non esisteva.