Istaro, leggerTi è un piacere. Torno, da uomo della strada, sull'argomento dell'approccio che un appassionato e non il mercato, debbono avere col nuovo. Il paragone con l'arte calza fino al punto in cui esso si scontra con il concetto di indossabilità. L'arte , sia essa un quadro, una installazione o una scultura è vista come altro da sé ….come fucina di emozioni visive , al massimo come oggetto d'arredo. L'orologio, trasforma l'arte in artigianalità, la radice medesima si trasforma nell'orologeria. Non possiamo o dobbiamo vedere solo l'innovazione, il nuovo può celarsi dietro ad una forma, una fessurazione, una finitura. Non riesco sinceramente a pensare a misure auree per nulla , nemmeno per gli orologi. Adoro i 32 come i 44 mm. Io voglio pensare all'orologeria, all'orologeria che è passione, come conoscenza del passato e uno sguardo verso il futuro. Ben vengano gli indipendenti giovani e ingegnosi, magari non inventeranno chissà quali meccanismi ma intuiranno forme, aggiungeranno lavorazioni, cercheranno nuove vie espressive sui quadranti. ma dire che mi piace solo PP del 57 o Breguet o che le sfere a gladio sono un pugno in un occhio, allora sì che mi sento di fare il paragone con l'arte e coloro che denigravano i primi impressionisti….. Una cara e sana moderna merda d'artista fa inorridire alla biennale di venezia degli anni 60 ma ora no. Non vorrei mai che i puristi del passato fossero legati nelle loro manifestazioni e accecati dall'oscurantismo dato dallo stesso lume che inondò di luce il periodo d'oro dell'orologio da polso.
Contro ogni talibanismo mi pare qualcuno ami firmarsi….ecco mi pare il miglior modo di affrontare quel poco di nuovo che abbiamo nel nostro amato mondo….
Ho riproposto una considerazione di Toulouse-Lautrec perché mi sembrava ben ricollegarsi a questo topic, nato sotto il segno della metafora pittorica, oltre che dotata di un significato generale: non è la novità in sé da apprezzare, ma la novità che arricchisce, migliora, coglie l'essenziale con forme diverse.
Se poi vogliamo sottolineare le differenze – più che le similitudini – tra arte pura e orologeria, a me sembra che in quest’ultima i vincoli creativi siano – casomai - maggiori.
Tali vincoli sono dettati dall’esigenza dell’
indossabilità, da te ricordata.
Ma anche da quella della
funzionalità: un orologio è uno strumento per la misurazione e la lettura del tempo, e deve garantire anzitutto una misurazione precisa (nei limiti necessari all’uso quotidiano) e una lettura immediata.
Oggi la funzionalità
non è più il fattore esclusivo o
primario che induce a scegliere un orologio meccanico da polso, perché esistono altri strumenti (orologi al quarzo, radiocomandati,
devices multimediali, ecc.) più efficaci, economici, flessibili.
Ma la funzionalità - per quanto subordinata al pregio estetico, di fattura, meccanico -
resta fattore
necessario, perché individua l’essenziale dell’
orologio (qui Toulouse-Lautrec torna illuminante). Altrimenti avremmo semplicemente ammennicoli da polso, di varia fattura (anche “artistica”, perché no?), marginalmente capaci di misurare il tempo.
Così come l’indossabilità (intesa come armonica integrazione con la persona) individua l’essenziale dell’orologio
da polso, altrimenti avremmo orologi da tasca o da… esibizione, marginalmente capaci di essere legati a un polso.
Questi caratteri costituiscono vincoli creativi alla definizione delle forme (alla scelta dei materiali, ecc.):
form follows function, ripeteva un celebre architetto come Sullivan, che si scagliava contro la “soppressione delle funzioni”.
Attenzione, però:
i vincoli creativi non sopprimono la creatività, ma la esaltano, fanno emergere la vera genialità.
In effetti, la pretesa di ripartire da zero o di ignorare i vincoli posti (cioè di ignorare la realtà...) può apparire espressione di spirito indipendente e originale, ma quasi sempre è espressione di presunzione, approssimazione, smania di protagonismo. Su mille "grandi novità" che ci vengono propinate quotidianamente, la quasi totalità (nella manifattura, ancor più che nell’arte) ha vita assai effimera.
Se guardiamo la storia dei geni, dei grandi innovatori, vediamo che hanno sempre tenuto ben presente la lezione dei geni che li hanno preceduti, si sono considerati “nani sulle spalle dei giganti”.
Oggi la “merda d’artista” (la novità destinata primariamente a stupire) non scandalizza più?
Male!
In effetti, le novità slegate da ogni concreto riferimento qualitativo sono destinate ad alimentare un “sistema” autoreferenziale, in cui sedicenti artisti (artigiani,
designers, architetti, ecc.) giustificano con motivazioni verbose la ricerca di un successo immediato (e quindi economicamente profittevole), basato su un’attenzione del pubblico effimera e superficiale, mossa dallo stupore e non dall’apprezzamento consapevole.
Insomma, spesso siamo di fronte a furbacchioni che per far quattrini si divertono a
épater le bourgeois.
In campo manifatturiero-industriale, poi, la spinta delle “mode” è attentamente pianificata per alimentare una propensione al consumo che attribuisca valore alla “novità” anziché alla qualità intrinseca, perché ciò consente margini più elevati (la “fuffa”) e una più rapida rotazione dei beni.
A mio parere - se mi è consentita la metafora da psicologia dell’età evolutiva - anche se forse possiamo considerare un po’ “infantile” il rifugiarsi rassicurante e acritico nei vecchi schemi e modelli, non per questo possiamo considerare “adulto”, espressione di libertà, il rifiuto preconcetto – e quindi altrettanto ingenuo – di quegli schemi. Si tratta, piuttosto, di un rifiuto… “adolescenziale”.
La vera maturità si ha quando è sviluppato quel
reale senso critico che consente di capire e apprezzare ciò che ci viene trasmesso; condizione per riflettere su come farlo proprio e – se ne siamo capaci – arricchirlo.
Può anche capitare, come ricordavo in un post precedente, che i vincoli creativi siano rispettati non con le innovazioni prudenti, ma con innovazioni radicali, con cambi di paradigma. Capita molto di rado, una volta su mille, appunto. Ma può capitare. Sono le innovazioni che segnano le cosiddette svolte “epocali”.
Tirando le somme: guardiamo con interesse a tutte le novità, cercando però di scorgerne il
reale valore intrinseco. Senza farci guidare dalla “noia per il già visto” (dovuta magari a uno sguardo distratto…) o da facili entusiasmi.
Non facciamoci scappare i nuovi impressionisti (se siamo abbastanza fortunati da incontrarli), ma nemmeno facciamoci abbagliare dalle legioni di sedicenti tali.