Tu puoi dire quello che vuoi e non saró certo io a discuterlo partendo tu da un evidente preconcetto per altro ben chiaro da ciò che scrivi, ma continuo a chiederti il nome di un "vero imprenditore", in Italia, nel campo della "grande industria", ossia com implicazioni tali da poter fare cadere governi e far saltare banche, come ENI, per esempio, o la stessa FIAT.
Se mi rispondi Olivetti, Ferrero e Barilla, chiaramente, non hai la più pallida idea di cosa sto parlando e di quali sono gli aspetti in discussione che rendono impossibile, in un paese come l'Italia, l'esistenza di tali figure. Ne di cosa è il "capitalismo" italiano, fatto di listini di borsa degni del Burkina Faso, di furbetti del quartierino e pacchetti di controllo dello zero virgola.
Tornando alla figura di GA quale imprenditore, come ha già ricordato Marco, è stato il primo, di gran lunga in anticipo sui tempi, a intuire la via dell'internazionalizzazione e della concentrazione in grandi gruppi, obbiettivo che ha iniziato a perseguire quando nessun altro neanche lo immaginava, in vari modi e in tempi diversi, e che mai gli riuscì compiutamente per ragioni quasi sempre estranee alla sua volontà e capacità, quasi sempre politiche e sociali (giusto per ritornare alle implicazioni che un colosso di simile portata ha).
Beffardo, forse, che il suo sogno sia stato reso possibile in modi, tempi, circostanze e con finalità diverse, dopo la sua morte, per mano di Marchionne. A dimostrazione di quanto fosse egli avanti sui tempi e di come le sorti del gruppo avrebbero potuto evolversi in modo differente se solo le corcostanze gli fossero state più favorevoli e certe dinamiche si fossero messe in atto in anticipo sui tempi, piuttosto che in clamoroso ritardo, per necessità di sopravvivenza più che per scelta strategica.
In un paese come l'Italia, dove per come è concepito, strutturato e gestito, fisiologicamente non crescerebbe nemmeno l'erba selvatica, io dico che il più grande merito di GA è quello di avercela portata, un'azienda come la Fiat, nel nuovo millennio. Il che è già un'anomalia e per certi aspetti un "miracolo".
Certo, a costi enormi per le casse dello stato, grazie alle "illuminate" menti italiche che della Fiat hanno fatto l'ennesima mangiatoia collettiva, e con ottimi profitti per la famiglia Agnelli, ma se l'Italia (paesucolo con le pezze al culo fatto da 60 milioni di quaquaraqua capaci di guardare non oltre al proprio ombelico) ha ancora un'industria dell'automotive e un tessuto produttivo capace di competere nel settore delle forniture e della meccanica, uno dei pochi tecnologicamente rilevanti in cui contiamo qualcosa (a meno di non immaginare che il futuro del mondo possa dipendere da mutande e pezze griffate) di sicuro non lo deve alla classe politica e dirigente che negli ultimi 40 anni si è improvvisata alla guida di questo paese.