Le spiegazioni sul perché sarebbe importante contenere la produzione contengono una parte di verità, però dobbiamo intenderci…
Se riteniamo che alcune case di tradizione e prestigio debbano restare nei limiti produzioni limitate, per poter mantenere prerogative di qualità, posso condividere.
Anche se mi sembra difficile stabilire la cifra esatta di queste produzioni “limitate”.
Stefano (S.M.) suggerisce 5-10.000.
Ripescando però la recente discussione aperta da Croix_de_Malte_®, con i dati sulla produzione svizzera, leggo che i dati delle maisons blasonate tradizionali oscillano dai 18.000 di Girard Perregaux agli 80.000 di Jaeger-LeCoultre (in mezzo abbiamo Ulysse Nardin, Blancpain, Vacheron, Piaget, Ebel, Breguet, Audemairs, Zenith, Patek…).
Non mi sembra che l’ordine di grandezza sia così diverso da quello auspicato.
Non capirei, invece, se ciò che si vuole sostenere è che tutto il settore dell’orologeria meccanica dovrebbe attestarsi su cifre ben più contenute delle attuali.
Perché ciò dovrebbe significare maggior qualità?
Piuttosto, teniamo conto che l’attuale produzione complessiva di orologi meccanici svizzeri (faccio un calcolo approssimativo, depurando dai quarzi i dati della discussione citata) è pari a circa 10 milioni di pezzi annui.
Mentre a metà anni Sessanta, al culmine del suo periodo d’oro, l’orologeria meccanica svizzera produceva più di cinquanta milioni (!) di pezzi.
Non tutti erano di elevata qualità, ovviamente (oltre un terzo erano di tipo Roskopf). Ma, come accade in tutti settori, ci può essere un vertice di eccellenza solo se poggia su una struttura con diversi livelli qualitativi.
Grandi numeri complessivi di un settore significa grandi opportunità lavorative per i giovani interessati a diventare tecnici specializzati (con scuole di formazione specifiche), e quindi maggiori possibilità di selezionarne alcuni di elevatissima professionalità.
Grandi numeri significa industria dell’indotto in salute e capace di innovazione autonoma.
Grandi numeri significa ampia cerchia di clienti che guardano con un certo interesse alla tipologia di prodotto. E quindi maggiori possibilità che un numero sufficiente di questi possa prima o poi alzare l’asticella delle proprie aspettative e orientarsi su prodotti di vera qualità.
Se invece il settore nel suo complesso è asfittico, non offre ossigeno neanche alla produzione di élite, che a poco a poco implode.
Infine, non capisco la questione del “tradimento” dei collezionisti.
In primo luogo, perché non penso che i collezionisti siano il cuore del problema, né in questo né in altri settori. Le case possono avere per loro un occhio di riguardo, possono evitare di assumere iniziative che li danneggino inutilmente (riproposizione di vecchie referenze, ecc.), ma certo non possono fondare su di loro la propria sopravvivenza.
E poi: perché una produzione più vasta danneggerebbe i collezionisti?