Prima di dire la mia, cerco di recuperare alcuni fili della discussione, che a tratti mi sembra essersi aggrovigliata.
La domanda iniziale di Giorgio (guagaua72) - se i cuochi in tv avessero apportato beneficio alla cultura alimentare è stata presto sostituita dal dibattito su: È meglio la cucina casalinga o quella della alta ristorazione?
Questa discussione si è incanalata sullassunto che la cucina casalinga sia quella basata sulla tradizione italiana, almeno per chi ha la fortuna di avere in casa mogli/mamme/nonne che la sappiano riproporre. Questa tradizione culinaria, al di fuori delle mura domestiche, potrebbe trovare soddisfazione mi sembra di aver capito solo nelle osterie.
La cosiddetta alta ristorazione (stellata o non), invece, parrebbe necessariamente essere quella basata su espressioni culinarie innovative, prevalentemente di tipo creativo: nouvelle cousine, molecolare, fusion, destrutturata, ecc.
Questo sulla base del presupposto che chi va a cena fuori e paga bei quattrini sarebbe desideroso di esperienze diverse.
Qui sorge la mia prima domanda: lalta ristorazione devessere per forza creativa?
Il desiderio di una serata particolare non potrebbe essere soddisfatto anche da pietanze tradizionali, soprattutto se la tradizione in questione è quella italiana, indiscutibilmente la migliore al mondo?
Se la questione fosse solo quella del desiderio di vivere una serata particolare, potrei dire che tale desiderio potrebbe essere soddisfatto già nel recarsi in un grande ristorante per poter consumare cibi tradizionali perfettamente cucinati.
Anche perché io non vedo più, tra le mura domestiche, tutte queste persone che abbiano tempo e competenza per stare dietro i fornelli
Estremizzo: oggi come oggi anche unottima pasta e fagioli è per molti unesperienza diversa!
Potremmo aggiungere che anche per chi ha la fortuna di poter gustare in casa propria piatti ben preparati avvicinarsi ad altre cucine regionali è sempre unesperienza profondamente nuova; e che la particolarità di una serata può risiedere anche come è stato ricordato - nellambiente, nel servizio.
La vera questione mi sembra unaltra: è che si è imposta lidea che la cucina di serie A quella meritevole di essere offerta in locali esclusivi e di richiedere esborsi considerevoli sia solo quella creativa.
Retrocedendo la cultura tradizionale e regionale italiana al rango di cucina di serie B: da ricette della nonna oppure, tuttal più, da osteria.
Il mio dissenso rispetto a questa impostazione è profondo.
Quando il messaggio trasmesso dagli operatori di un settore non solo quello della ristorazione - viene focalizzato solo sulla novità, sulla "modernità", sulla esclusività, sulla particolarità, ecc. ecc., quasi sempre rilevo che la novità è solo verbale e in realtà si cerca di distogliere lattenzione da un fattore che dovrebbe restare quello centrale: la qualità!
Mi sembra qui di poter svolgere un parallelo con altri settori merceologici, accomunati da una linea di tendenza: lo spostamento progressivo dalle esigenze del consumatore a quelle del produttore.
Al consumatore dovrebbe interessare la massima qualità al giusto prezzo.
Invece, il mercato globale sta riuscendo a massimizzare il profitto abbattendo i costi con la rinuncia alla qualità, sostituita da fattori immateriali ed emotivi.
Sparisce la qualità intesa come ricerca, sostituita da innovazioni esteriori. Sparisce la qualità della materia prima, sostituita da materiali sintetici a bassissimo costo e scarsa resa. Sparisce la qualità della lavorazione, della lunga cura artigianale (il cesellatore, il sarto, il falegname
), sostituita da procedimenti industriali che spesso deprimono il risultato finale.
La qualità viene residualmente offerta come bene di lusso, e fatta pagare cifre spropositate.
In settori come quelli dellabbigliamento, dellarredamento, della manifattura, questo fenomeno è ormai spinto a livelli estremi (ne abbiamo parlato in altro topic).
Nella tecnologia, allopposto, è più contenuto: in quel campo la funzionalità del bene è più facilmente riconoscibile, lattenzione del consumatore più elevata.
E nel settore della ristorazione (e della cucina in generale)?
Qui, a mio avviso, siamo a
metà strada.
Oggi viene enfatizzato il concetto di materia prima. Ma questenfasi nasconde un illustre disperso: il fattore lavorazione.
Angelo (ciaca) ha ricordato come la grandezza della cucina italiana ma anche dei piatti pregiati di altre cucine estere - risieda non da ultimo nelle lunghe ore richieste dai numerosi passaggi di preparazione, lavorazione, cottura.
Tempi inconciliabili con quelli di una ristorazione che voglia massimizzare i profitti nei termini su esposti.
Bisogna anche aggiungere che la cucina creativa, di qualunque tipologia essa sia, consente di esaltare la personalità dello chef e di alimentare tutti quei discorsi su esclusività, novità, ecc. che consentono di far lievitare i prezzi.
Concludo: non voglio essere tranchant nel dare giudizi sui ristoranti stellati. In questi posti si possono senzaltro fare esperienze molto gratificanti (tali da giustificare il prezzo?), insieme con altre da dimenticare.
Allo stesso modo, i cuochi in tv potranno alternare utili consigli a narrazioni autoreferenziali.
Però voglio sottolineare con forza che non esiste nessuna superiorità della cucina creativa su quella tradizionale (intendiamoci: non lhanno proclamata i forumisti che mi hanno preceduto; ma è quella che proclama il mercato). Anzi, casomai è il contrario.
E se nellalta ristorazione si è imposta la cucina creativa, io lo spiego soprattutto con i motivi economici e culturali (indotti dalla moderna cultura mediatica) che ho descritto.