Le idee alle quali in molti non vogliono rassegnarsi sono molteplici, come anche i luoghi comuni.
Non ci si rassegna, per esempio, all'idea che quando si comprano oggetti di prezzo x il costo industriale dell'oggetto è solo una frazione di x, tanto più irrisoria quanto più nel prezzo incide il marchio.
Non ci si rassegna all'idea che per avere tali sproporzioni tra prezzo e costo, tanto più quanto il prezzo è alto e la componente di fuffa legata al marchio anche, si ricorre ad economie di ogni tipo, tra le quali anche quelle delle forniture cinesi per varie componenti, se non per l'intero prodotto.
Non ci si rassegna nemmeno all'idea che molta paccottiglia griffata, in molti settori, sia interamente prodotta in Cina o in altri paesi dove il costo della produzione per varie ragioni è irrisorio rispetto ad altri luoghi.
Ne ci si rassegna all'idea che oggi quasi tutto, a livello industriale, è fatto dalle macchine e non dalle mani dell'uomo, e le macchine (a differenza delle competenze artigianali) sono le stesse in Cina come in svizzera come in ogni altra parte del mondo.
Si continua invece ad associare la produzione cinese alla scarsa qualità, il che è vero solo per certo tipo di produzione e non è esclusiva della sola cina, perché se ti vendono un paio di scarpe ad 1 euro sarà una cacata cinese come sarà una cacata italiana la bottiglia di vino a 2 euro in sconto al supermercato.
Oggi è la Cina, ieri il giappone.
Quando sul mercato iniziarono ad arrivare le prime auto e le prime moto giapponesi scatenavano l'ilarità generale, le auto erano più brutte della peste e le moto si rompevano.
Sappiamo poi com'è finita.