I Longines del 1970 non erano più nè quelli dei decenni precedenti, ma neppure quello del 1990. Era una azienda che si era già smarrita nella seconda metà degli anni 60 quando i calibri perdono in finiture, in qualità, col peggioramento progressivo delle condizioni economiche della casa.
Ma c'è qualcosa che forse non ho ancora espresso che mi fa ritenere ulteriormente non opportuna la fissazione della data del 1970. Nel 1970 inizia la crisi del quarzo, ma per una almeno 15 di anni gli orologi meccanici non esistono praticamente più. Quindi è ancora più assurdo porre nel 1970 uno spartiacque, perché il prodotto sostanzialmente sparisce per almeno una quindicina di anni. E quando risorge assomiglia molto al precedente, poi piano piano si modificherà nel corso dei 90.
Attenzione: non stiamo parlando del 1970 come data spartiacque.
Questo era uno dei dubbi iniziali...
Mi sembra sia poi emerso che, se identifichiamo l'età del quarzo come periodo di crisi dell'orologeria meccanica, i risultati di delle trasformazioni indotte si vedono a
metà degli anni Ottanta.
Quanto ha inciso questo periodo sull'orologeria meccanica a livello mondiale?
Riprendo in mano lo Strazzi, per essere più preciso...
Dunque: per restare all'orologeria svizzera, nel 1984 "giunge al culmine della fase recessiva più prolungata della sua storia, lamenta un calo del 60% delle imprese (da 1.618 a 632 tra il 1970 e il 1984) e del 65% dei posti di lavoro (da 89.448 a 30.944)".
In termini assoluti, la produzione cala da 85 milioni di pezzi annui a 30milioni. In termini percentuali, da oltre il 50% all'8,5%.
Ma la crisi dell'orologeria meccanica non è solo svizzera: anche il gruppo americano Timex, a lungo il primo al mondo (se guardiamo ai singoli gruppi industriali), entra in crisi profonda.
Alla fine degli anni Settanta si avviano grandi concentrazioni e ristrutturazioni delle case elvetiche (risparmio qui l'elenco per brevità), finanziate dalle banche svizzere.
Si tratta di
pesanti riorganizzazioni aziendali, che avviano la
trasformazione della produzione da semiartigianale a industriale: disegno di nuovi moduli o calibri col CAD, realizzazione con macchine a controllo numerico.
Iniziano ad affinarsi le modalità di realizzare i calibri di manifattura, e diventa più facile - e alla portata di più
maisons - realizzare complicazioni raffinate.
Contemporaneamente, però, si semplifica la produzione di molti orologi, ricorrendo sempre di più alle
ebauches esterne.
"Nel 1984 ASUAG-SSIH affida a ETA lo sviluppo e la fabbricazione dei movimenti per tutte le case del gruppo; Longines e Omega perdono lo status di manifatture conservato per oltre un secolo". (Ecco perché un Longines del 1990 è radicalmente diverso da uno del 1970, mentre è molto più simile - dal punto di vista tecnico - ad uno odierno. E non vale solo per Longines).
La differenza con gli accorpamenti di vent'anni dopo è che questi ultimi sono guidati da gruppi del lusso (ma le acquisizioni di Richemont cominciano già nel 1989, con Piaget e Baume & Mercier), che disegnano una diversa dimensione dell'orologio, come
griffe.
Ma, dal punto di vista produttivo, erano state più pesanti le ristrutturazioni avviate sotto l'onda d'urto del quarzo.
Insomma: l'avvento del quarzo non ha determinato una "crisi" o un "periodo di trasformazione", ma una vera "guerra nucleare".
Tanto che per gli anni Ottanta non si parla di rilancio, ma di "rinascita".
I primi frutti iniziano a vedersi già sul finire della crisi, a
inizio anni Ottanta, grazie alle realtà che erano state più reattive nelle innovazioni produttive e nel riposizionamento del "prodotto orologio" da strumento,
commodity, a bene di lusso.
Nel 1981 il rilancio di Breguet; nel 1983 quello di Blancpain, Chronoswiss, Ebel.
Il 1985, cito sempre Strazzi, "segnala la svolta" (grazie anche all'ossigeno dato all'industria svizzera dal successo di Swatch): si apre l'era dei "complicati rivoluzionari", "torna a farsi vivo il
design".
Lo
stile di questi nuovi orologi potremmo definirlo
"neoclassico": riprende il passato, ma lo rielabora secondo i dettami del
design, con numerose deroghe alla sobrietà che nell'orologeria classica era molto rigorosa.
Pensiamo anche all'impatto che sulla linea (oltre che sul contenuto) degli orologi hanno i nuovi vetri in zaffiro, che sostituiscono i cupolini in plexi.
Ma la novità principale, va ribadito, è nelle tecniche produttive.
Insomma,
senza voler negare che quindici/vent'anni dopo sarebbe iniziata una nuova fase di trasformazioni, a me continuano a sembrare evidenti due aspetti:
- lo spartiacque del quarzo è stato davvero "epocale" per l'orologeria meccanica;
- a
metà degli anni Ottanta vengono a maturazione i primi risultati degli sforzi di riorganizzazione produttiva, cioè orologi diversi dal passato (in parte stilisticamente e molto più contenutisticamente).
Non esiste ovviamente una data "fatidica", ci sono sfasature per le diverse case, le innovazioni saranno ancor più profonde nelle nuove gamme di prodotto nel decennio successivo; ma
il quadro di insieme mi sembra abbastanza coordinato. L'unica eccezione rilevante, con un andamento asincrono rispetto alle restanti
maisons, è emerso essere quella di Rolex.
Oggi abbiamo orologi che sono l'evoluzione del panorama disegnatosi in quegli anni, sia pure con l'importantissima "rottura" stilistica (che io considero per certi versi caricaturale) dell'aumento dei diametri; oltre ad alcune innovazioni - ricordate anche da Marco (mbelt) - introdotte a macchia di leopardo, e di cui assistiamo ad una diffusione abbastanza lenta (anche a causa della "pigrizia" delle case).