Interessante anche la nota sui margini dei produttori, quel x10 che abbiamo ipotizzato tante volte anche noi sulle pagine dei vari forum. Non so che grado di attendibilità abbiano le parole di chi scrive (sembra comunque ben introdotto nel settore) ma sempre più mi convinco che quello sia un realistico ordine di grandezza.
Sappiamo e abbiamo sempre sottolineato che i ricarichi sugli orologi meccanici sono esagerati, poiché rispondono ad una logica di posizionamento come bene di lusso e non di controvalore prezzo/qualità (costi).
Ciò detto, amor di verità richiede, a mio avviso, che la dimensione del problema non venga ingigantita.
Innanzitutto, quando il nostro amico parla di ricarichi pari in media a 5-8 volte (con punte di 10 volte) il costo di produzione, si riferisce al rapporto tra
prezzo finale di vendita e costo di produzione.
Per avere un’idea più obiettiva dell’effettivo profitto delle case produttrici, il rapporto dovrebbe esser fatto a partire dal prezzo pagato dal rivenditore, sottraendo quindi al prezzo di listino la quota media del 40% che al rivenditore spetta (prima degli sconti).
Inoltre, esistono dei costi che l’autore non ha calcolato.
Ripartiamo dall’esempio del PAM604:
- Cassa in acciaio, corona e fibbia: 150 €
- Incisione: € 800
- Vetro e fondello in zaffiro: € 200 (€ 100 / pezzo)
- Movimento assemblato: € 500
- Cinturino in pelle di coccodrillo: € 75
- Quadrante: € 125
- Assemblaggio generale: € 200
- Totale: € 2.050
- Prezzo di vendita: € 18.800 (detratta l’IVA, che in Francia à al 20% = € 15.666)
- Tasso di ricarico: costo x 7.65
Ebbene,
questa cifra che parla di un moltiplicatore di 7 volte è un po' fuorviante.
Innanzitutto, se togliamo al prezzo finale (al netto delle tasse) il 40% spettante al rivenditore, abbiamo un ricavo effettivo per la casa di 9.400 euro (il discorso cambia, ovviamente, se la vendita è effettuata direttamente dal produttore, come per questo Panerai; ma cerchiamo di utilizzare l'esempio per un'analisi più generale).
Inoltre, i costi riportati nell’esempio sono solo quelli variabili.
Non dobbiamo però dimenticare che le grandi
maisons hanno anche costi fissi di tipo generale (ammortamento di impianti, macchinari, spese di progettazione; personale, marketing, assistenza post-vendita, ecc.), che devono essere spalmati sui singoli orologi. Calcolare la quota gravante sul singolo orologio è operazione molto difficile (e anche per questo, probabilmente, l’appassionato in questione non si è cimentato), perché dipende da diverse variabili: dimensioni della casa produttrice, spese sostenute per la progettazione, numero di orologi prodotti, ecc.
Possiamo però parlare, in maniera molto approssimativa, di 500 euro a orologio?
(Ho corretto la cifra)
Abbiamo a questo punto un costo produttivo di poco più di 2.500 euro, il cui rapporto rispetto al ricavo della casa (9.400) diventa di poco meno di 1 a 4 (in casi più “virtuosi” - Nomos? - il rapporto può scendere fino a 1,3/1,5; nei casi più estremi il multiplo può essere pari a 6/7).
Un rapporto proprio della sfera del lusso, senza dubbio; ma non nelle dimensioni che potevano dedursi dai numeri sbandierati dall’autore del libro.