Se prendiamo il 2000 come spartiacque tra l'era "indipendente" delle case rinate negli anni 80 e l'era delle holding del lusso, basta solo un dato per capire la deriva che questi agglomerati di Brand hanno impresso all'intero settore: i volumi di produzione, che sono cresciuti a dismisura al punto da essersi quasi decuplicati nei casi più eclatanti.
Un mercato per sua natura un tempo assai di nicchia e focalizzato sul prodotto è stato gonfiato in modo scriteriato alla stregua di qualsiasi altro settore del lusso griffato, svuotato di gran parte dei suoi "valori" e consegnato al consumo sfrenato di prodotti usa e getta focalizzati solo sul Brand e sulla moda "cool & trendy" (vedasi deriva delle misure).
Il gioco ha funzionato perché il periodo offriva favorevoli congiunture economiche senza precedenti, con un enorme bacino di nuovi potenziali acquirenti con le tasche piene e nessuna cognizione del prodotto, il che ha giustificato enormi investimenti in marketing capaci di formare un'intera generazione di ricchi incompetenti oltre che di condizionare anche le scelte su mercati piú maturi e storicamente piú avvezzi a questi prodotti.
Ma non avendo alle spalle solide basi al primo ostacolo sui mercati in grande espansione il giocattolo rischia già di rompersi in modo rovinoso. Ed è quello che alcuni di noi prefiguravano già in tempi non sospetti perché le scelte speculative di breve periodo prima o poi si pagano, sempre.
Le holding piangeranno con un occhio perché vivono di marchi e fuffa (e in questi 15 anni hanno avuto rendimenti assurdi), marchi e fuffa che possono anche spostare da un settore merceologico ad un altro (vedasi Montblanc), i cocci invece saranno tutti dell'indistruia del settore: fabbriche che chiudono, gente che va a casa e professionalità che si perdono più di quanto non sia già accaduto per colpa delle suddette holding.
A rimetterci non saranno le holding, i cui utili consolidati sono già storia, ma l'industria del settore che rischia di venire sepolta per la seconda volta.