Orologico Forum 3.0

L'abito maschile, tradizione e innovazione

guagua72

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Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #30 il: Marzo 19, 2016, 13:06:50 pm »
Io non sono d'accordo ma tant'è...
Quando scrivo di "eleganza inglese" mi riferisco a codici forme tagli proporzioni storia.
Un sarto inglese (e non una Maison, non ho in quel mio ultimo intervento parlato di Brioni nè di case specifiche inglesi) che taglia e cuce su misura dubito si faccia fare il lavoro a 10000 km di distanza, che poi non si lavino quanto tu vorresti è un altro punto utilissimo alla discussione vedo..

Ma evidentemente non basta, allora buttiamo tutto nel gabinetto e osanniamo solo i sarti napoletani.
Ti ringrazio Pessoa per inserire un po' di pepe nella discussione, col giusto garbo.
Si, effettivamente, con la battuta di poco gusto sul lavaggio mi sono spinto oltre e me ne scuso sia con il popolo Inglese sia con i forumisti che vedono nel British Style una sorta di monumento e anche con Te caro Pessoa, che solo per il nick meriti la mia ammirazione. Detto questo, vorrei tornare, e mi creda anche l'amata regina che dio la abbia in gloria sempre, sulla sartoria inglese, o meglio, su ciò che rimane di essa. Orbene, su quel concetto di sartoria che gli storici del costume portano ovviamente ad esempio,  ci sarebbe molto da ridere, ora c'e' molto da ridire. Il passato di quella che fu la più grande scuola di abbigliamento maschile non ha lasciato alcuna traccia tangibile di sé.  Il mio pensiero non va dunque "contro" la sartoria inglese a favore di quella "napoletana", chi afferma ciò non ha bene compreso. Io mi baso, scusate se ho l'ardire di affermarlo, sul concetto e su ciò che era  "Savile Row" . Il vero tempio dell'eleganza maschile, sepolto sotto l'egida del Brand. Non ho alcuna voglia di annoiare la platea forumistica con le definizioni ma vorrei ribadire che non c'e' traccia di tutto quello che avete definito Voi nell'odierna Sawile Row. L'abito maschile nella Londra del 2016 è una divisa di poco conto. Come posso vedere le camicie di Pink, colui che una volta mi ammaliava con fantasie particolari e cotoni egiziani finissimi, ridotte ad essere vendute in terribili monomarca alla stazione? Tra l'altro a prezzi folli. Ora , che esistano sarti che lavorano bene nella cara vecchia Inghilterra non lo metto in dubbio… ma se esordiamo con i Brioni, che oltre ad un marchio erano sinonimo di grande abilità manifatturiera, allora mi viene spontaneo portare ad esempio Gieves , N.1 sawile Row

guagua72

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Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #31 il: Marzo 19, 2016, 15:29:08 pm »
Ah, dimenticavo

guagua72

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Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #32 il: Marzo 19, 2016, 15:31:38 pm »
Dimenticavo

Istaro

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Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #33 il: Marzo 19, 2016, 20:08:53 pm »
Le foto che ci posti, però, sono di un abito confezionato...

Da Gieves & Hawkes il bespoke esiste ancora (fino a quando non si sa...  :P ).

Così come esiste, e "sa essere" ancora su ottimi livelli, il bespoke di Anderson & Sheppard (che non sta più a Savile Row, ma pochi metri distante), di Huntsman, di Henry Poole ...

E' vero, però, che le sartorie inglesi non sono più all'altezza del loro passato, ormai superate dai grandi sarti italiani.

Il loro "problema" è che non sono botteghe artigiane, ma imprese, concentrate in una grande metropoli finanziaria, dotate di un "marchio" che fa gola ai nuovi magnati internazionali: una clientela senza cultura (e quindi poco esigente), ma disposta a spendere cifre iperboliche.
Da qui la tendenza a seguire la strada del guadagno facile.

Esistono ancora, al loro interno, maestranze altamente qualificate, per cui ho scritto che "sanno essere" - se vogliono - su ottimi livelli. Ma a prezzi esosi (anche perché gli affitti di Savile Row non scherzano...).

La spinta alla commercializzazione ha poi indotto molte di quelle sartorie ad affiancare al tradizionale bespoke anche prodotti made-to-measure, o addirittura di confezione (come quello che hai mostrato), creando quella commistione che contribuisce ad abbassare ulteriormente la cultura (e la qualità) del vestire.
Un po' la via intrapresa da Brioni, con fortuna - pare - ancora minore.

La qualità delle maestranze artigiane italiane, invece, resta maggiore, perché meno sottoposta ai riflettori internazionali e più legata alle richieste di una clientela esigente.

Quanto alla tua richiesta di "pepe" alla discussione, domando (a te che sei l'opener): in che direzione dobbiamo... "aggiustare la mira"?  ;)

Voglio dire: ci stiamo domandando se abbia ancora senso preferire un abito fatto a mano ad uno di confezione (sia pure di marca)?
Oppure ci stiamo interrogando sul destino della sartoria italiana?
Stiamo mettendo a confronto la tradizione italiana e quella inglese oppure ragioniamo sulla distinzione tra le diverse "scuole" nostrane (non esiste solo quella napoletana)?
Conduciamo una discussione sul filo della tecnica oppure della cultura del vestire?
"Non esistono venti favorevoli per il marinaio che non sa dove andare" (Seneca)

Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #34 il: Marzo 19, 2016, 20:34:42 pm »
Quanto alla tua richiesta di "pepe" alla discussione, domando (a te che sei l'opener): in che direzione dobbiamo... "aggiustare la mira"?  ;)
Esatto.

Assunti gli ineccepibili ultimi due interventi di Gianni a cui non potrei che fare eco quotandone ogni virgola, qual è l'indirizzo che si vorrebbe dare alla discussione? Non l'ho capito.
"Dum differtur, vita transcurrit" (L. A. Seneca)

guagua72

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Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #35 il: Marzo 19, 2016, 23:31:04 pm »
Ma certo che si tratta di un abito confezionato, come lo sono quelli confezionati da Brioni a Penne. Ora molto meno. Tra Penne e le Mauritius mi pare ci sia una bella differenza.

guagua72

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Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #36 il: Marzo 19, 2016, 23:32:56 pm »
Quanto alla tua richiesta di "pepe" alla discussione, domando (a te che sei l'opener): in che direzione dobbiamo... "aggiustare la mira"?  ;)
Esatto.

Assunti gli ineccepibili ultimi due interventi di Gianni a cui non potrei che fare eco quotandone ogni virgola, qual è l'indirizzo che si vorrebbe dare alla discussione? Non l'ho capito.
Ma scusate, pensate che ci sia un disegno dietro ogni discussione?

guagua72

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Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #37 il: Marzo 19, 2016, 23:41:28 pm »
Discussione e dialogo presuppongono anche opinioni diverse. Io provoco per capire. Se invece le discussioni assumono carattere enciclopedico per sciorinare la conoscenza e la capacità dialettica dei partecipanti mi iniziano ad annoiare. Avete dato un sacco di definizioni e poi?

Istaro

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Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #38 il: Marzo 20, 2016, 01:00:26 am »
Discussione e dialogo presuppongono anche opinioni diverse. Io provoco per capire. Se invece le discussioni assumono carattere enciclopedico per sciorinare la conoscenza e la capacità dialettica dei partecipanti mi iniziano ad annoiare. Avete dato un sacco di definizioni e poi?

Caro Giorgio,

quello dell'abbigliamento è un settore il cui decadimento, nella sensibilità comune, si manifesta anche in una diffusa confusione di termini e concetti.
Per cui si rischia di chiamare "mele" le "pere", e viceversa.
Arrivando a non comprendersi e a far perdere di interesse qualsiasi discussione.

Da qui il tentativo di condividere un minimo di chiarezza terminologica, che non definirei certo "enciclopedico" (sull'argomento si possono scrivere davvero - e sono state scritte - enciclopedie...).

Ovviamente ciò non è sufficiente.

Tu hai "provocato per capire", hai lanciato un sasso nello stagno per vedere che cosa ne veniva fuori.

Però mi sembra che il tema di per sé non susciti grandi passioni, soprattutto se la platea di partenza è già ristretta.

Per cui - mi permetto - forse sarebbe necessaria già in partenza un'idea-provocazione netta, esplicita, che possa suscitare il dibattito.
Poi la discussione, ovviamente, può prendere infinite pieghe.

Qui invece mi sembra che ci siamo "impantanati" sin da subito.

"E poi?" è anche la mia domanda...
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Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #39 il: Marzo 20, 2016, 01:09:06 am »
Appunto... e poi?

Da parte mia alcuna provocazione, era ed è un interrogativo sincero.
Avendo detto la nostra sul bespoke e sulla confezione di forbice o matita italiana, avendo scritto Istaro due perfetti interventi che inquadrano sinteticamente la situazione della sartoria inglese, c'è altro di cui parlare? da aggiungere? siamo noi a non aver centrato il tema? se no, di quale altro aspetto si parla? se si, qual era invece l'indirizzo che si voleva dare al topic?

Semplici domande ai partecipanti e soprattutto all'opener su quale impronta ed evoluzione voleva dare al topic che ha aperto, senza fare l'annoiato o il piccato.

EDIT: non volevo accavallarmi, Istaro aveva pubblicato mentre ancora scrivevo, essendo da cellulare.
« Ultima modifica: Marzo 20, 2016, 01:11:33 am da AleArturo »
"Dum differtur, vita transcurrit" (L. A. Seneca)

guagua72

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Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #40 il: Marzo 20, 2016, 08:45:13 am »
No, mai piccato. perché con ragazzi come voi non lo si può essere.
Diciamo che siamo partiti con questo Topic perché in sezione principale era stato paragonato un orologio a una giacca Tagliatore, poi , sempre in quel topic si era iniziato a parlare di Brioni. A questo punto mi era sorta l'idea della disquisizione sull'abito maschile. Che dire. Ora qui abbiamo tutti praticamente stessa sensibilità e stesse idee, a parte qualche devianza sulla sartoria inglese. Poi il buon Pessoa non ha raccolto la provocazione. Quindi ritornando in Topic, quale futuro per l'abito maschile? Premesso che l'abito, diciamo la giacca maschile, il vestire classico non sia morto.
I giovani seguiranno l'idea della qualità e dell'artigianalità abbandonando il porto sicuro del "marchio"? Oppure si trarrà vantaggio dal finto sartoriale, per promuovere giacchette striminzite e affatto curate ma che danno quell'aria da finto dandy de noaltri…..? Quali aziende Italiane, Brioni a parte, ritenete stiano intraprendendo la giusta strada?

Istaro

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Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #41 il: Marzo 20, 2016, 21:33:56 pm »
A me sembra che il discorso potrebbe prendere due direttrici.

1) La prima si interroga se il vestire "classico" - giacca e cravatta, con tutti i capi e gli accessori connessi a questo stile - sia "morto".

Io potrei dire, sulla scia di analisti senz'altro più autorevoli, che il classico è "morto" nel senso che non è più vitale, non è più paradigma universalmente accettato, cosicché non ha più la capacità di proporre nuovi stilemi.

Casomai "sopravvive", in quanto la sua crisi non è quella di uno stile, ma di una civiltà, che non ha saputo elaborare nuovi paradigmi di eleganza e di formalità.
Sopravvive, come scrivevo in precedenza, come “obbligo” professionale e cerimoniale, come riferimento - sia pure confuso, per coloro che non ne comprendono appieno il significato - di eleganza e di qualità.

Però questa sopravvivenza è sempre più precaria.

Infatti, finché c'è una vasta cerchia di persone che riconoscono la necessità di un certo stile (cioè finche in molti vestiranno in giacca e cravatta), sia pure accontentandosi delle sue declinazioni più scadenti e commerciali, ci sarà la possibilità che una cerchia più ristretta, crescendo e maturando, senta il bisogno di accedere a scelte più qualitative, alimentando la richiesta di capi di buona fattura e mantenendo così in vita imprese e artigiani che li realizzano.

Ma se la cerchia "allargata" si restringe troppo, allora anche la fonte che alimenta la cerchia ristretta (la nicchia di "intenditori" che sostiene la filiera produttiva di qualità) è destinata a prosciugarsi.
Quindi - in un futuro vicino - sempre meno capi classici (giacche, cravatte, cappotti, scarpe in cuoio, ecc.).
E sparizione del su-misura (già oggi, fuori dall'Italia, la camicia su misura quasi non esiste più), con trionfo incontrastato - per i pochi che ancora indosseranno quei capi - della confezione dozzinale (per qualità e design).

Questa prima direttrice di discussione ha un profilo culturale : riguarda - mi ripeto ancora - lo stile classico in senso esteso (non solo nell'abbigliamento), la sopravvivenza dell'immaginario maschile.

Forse un tema troppo vasto?


2) La seconda direttrice, assumendo una certa vitalità del vestire classico (nei suoi capi fondamentali), ha un profilo focalizzato sulle prospettive di mercato di breve termine: riprenderà fiato un'attenzione più fedele allo stile classico, sia nelle linee sia nella qualità? In caso affermativo, questa ripresa sarà limitata al su-misura o potrà essere cavalcata anche dall'industria?

Forse in questo, come in altri campi, internet può avere una sua utilità.
E' vero che è uno strumento potentissimo, quasi totalizzante, per imporre il "pensiero unico" (che nell'abbigliamento è lo stile casual ).
Ma è anche vero che offre quella possibilità di condivisione di informazioni che consente la sopravvivenza di piccole nicchie di pensiero (e stile) indipendente.

Oggi che non esiste più la tradizione familiare quale via principe per educare i giovani anche allo stile, c'è però la possibilità, per chi sentisse crescere in sé un desiderio di attenzione alla qualità e al buon gusto, di trovare informazioni, canali, contatti.
Sul versante dell'offerta, anche il sarto del piccolo paese, se sa adeguatamente pubblicizzarsi (e se lavora bene, ovviamente), può attrarre clienti da località distanti, senza bisogno di alzare la saracinesca a Savile Row.

A Giorgio che chiede quali aziende italiane siano sulla giusta strada, rispondo che - per il ragionamento sin qui condotto - dubito che una "ripresa" del buon gusto possa venire dall'industria.
Confido casomai negli artigiani più intelligenti e capaci di intercettare le richieste di una clientela esigente.

In ogni caso, non conoscendo io bene questo mercato (almeno per quanto riguarda l'abito), perché sono appunto focalizzato sulla dimensione artigianale, mi interessa molto conoscere l'analisi di Giorgio sullo stato di salute delle aziende italiane.


P.S.: sperando di non essere risultato ancora una volta troppo noioso...  ;)
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guagua72

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Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #42 il: Marzo 20, 2016, 22:39:57 pm »
Un breve cenno storico  sull'industria dell'abito Italiano . Mi scuso per la lunghezza e per la poca scorrevolezza del mio incedere per iscritto....
Il mio nonno Severino che lavorava in fornace, quinta elementare, classe 1919 si faceva fare il vestito dal sarto. Ne aveva due, entrambi di panno di lana uno più leggero e uno più pesante. Li portava per andare a messa o per i funerali. Credo fossero dei primi anni 60 e andavano a sostituire un'altro abito di trent'anni prima. Me li ricordo ancora, fin verso il 1990 li ha portati. Questa è stata la normalità fino alla fine degli anni sessanta prima metà dei settanta, nella provincia Italiana.
Poi il capovolgimento totale, arrivano le industrie, l'urbanizzazione, la consapevolezza di avere tra le mani un salario che permetteva di fare certi acquisti che prima erano proibiti: l'auto, la lavatrice, la televisione, la casa nuova, il mobilio, la cucina componibile. Dietro tutto questo il fenomeno abbigliamento industriale e dopo gli stilisti.....Il Boom economico è stata la morte del sarto vero. Il bespoke Italiano è stato inventato dai Nazareno Fonticoli e Gaetano Savini, ma loro stavano nella città, servivano già gli attori, i personaggi del jet set, insomma, erano già non sarti in senso stretto, ma il capo era veramente di manifattura. Assieme a loro il distretto Mantovano , quello Marchigiano e D'Avenza, storia a parte , le cui vestigia traggono origine da un non precisato Signore Inglese. Poi, un gradino sotto Facis, Lebole...ricordate la pubblicità : " In Lebole è bello..." Questa è stata l'industria dell'abito maschile. Al Sud, Napoli, Calabria e Sicilia i sarti sono rimasti ancora un pco di più, ma anche lì ben presto il mito del Pizzaiolo che tornava al paesello con i soldi era una bella Giacca Armani ( alcuni non toglievano nemmeno l'etichetta sulla manica). Ecco, proprio il Buon Giorgio, croce e delizia del bel vestire all'Italiana e con lui tutti i grandi Stilisti. eccoci Signori, questi hanno distrutto l'abbigliamento maschile classico, nel bene e nel male. Capi che non erano più intelati ma biadesivati, fodere delle più modeste, bottoni di plastica, ma chissenefrega è di.........ma tanto è di.......e così tutti gli anni ottanta e novanta ce li siamo bevuti , assieme a Milano e all'amaro ramazzati. Ah dimenticavo, il fenomeno Yuppies, in controtendenza? No affatto, si parlava di ragazzotti di buona famiglia che amavano vestirsi come lui " l'Avvocato" o il suo uomo " LCDM, Luca Cordero di Montezemolo" ...niente di chè, una meteora tirata fuori dai giornali Capital. E intanto aziende nate sotto la cultura del bel vestito, sulla scia del Brioni e della rivoluzione industriale dei mitici anni sessanta, abiti comunque  " di manifattura" non sapevano dove girarsi. Canali, Corneliani, Luigi Bianchi ( Ricordate il Marchio LUBIAM?), Lardini..ora non me ne vengono in mente altri. Boccheggiavano sull'orlo del precipizio alla metà degli anni 90. Alcuni producevano per i Valentino e altri Stilisti, altri no e morivano. Poi Via si riparte cogli anni 2000, all'insegna del sartoriale, ricordate il tutto impunturato, finto sartoriale di tanti bravi agenti di commercio, ricordate le Scarpe Branchini? o Alla Branchini? Ricordate quei collettoni a quattro bottoni? Ecco il neo sartoriale di oggi è nato lì.....
« Ultima modifica: Marzo 20, 2016, 22:41:56 pm da guagua72 »

Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #43 il: Marzo 21, 2016, 01:39:45 am »
Continuo a non capire di cosa si parla, ovvero qual è il tema da discutere. Davvero.

Attenderò di individuarlo (o di individuarne di nuovi) nell'evolversi del topic.
Sul futuro della sartoria, la mia l'ho detta.
"Dum differtur, vita transcurrit" (L. A. Seneca)

ciaca

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Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #44 il: Marzo 21, 2016, 01:41:46 am »
Io penso che il succo che si può trarre da questa discussione, come molte altre, è che l'umanità, o per lo meno un certo tipo di umanità, è andata perdendo nel tempo l'amore per le cose "fatte bene", e con esso la voglia di studiare, approfondire e prendersi anche il tempo necessario a farlo (prima) e andarsele a cercare (poi), sostituendolo con il comodo "cotto e mangiato" che la griffe propone. E insieme a questo anche un certo gusto personale e critico sostituto da ciò che l'industria preconfeziona e "impone" sul mercato. Che sia cibo, vestire, orologeria o vattelapesca, alla fine la musica è sempre la stessa.
"A megghiu parola è chidda ca un si dici"