Al glossario di Alessandro penso sia utile aggiungere uno schema essenziale delle tipologie produttive nell’abbigliamento maschile (Giorgio, che è del settore, mi correggerà se sbaglio qualcosa).
Le tre categorie essenziali, definite sulla base di un criterio distintivo che è la metodologia di produzione (con un diverso grado di intervento umano), sono: confezione, “su-ordinazione”, “su-misura”.
La “confezione” è il sistema industriale, che realizza i capi su taglia, quindi sulla base di modelli predefiniti (con alcune varianti: il drop, la lunghezza della giacca) su cui è tarato il processo produttivo. Il cliente può solo scegliere tra le taglie e le varianti disponibili, chiedendo al negoziante qualche piccola riparazione (lunghezza delle maniche e dei pantaloni) sul capo già finito.
La “confezione” industriale può offrire prodotti dignitosi, nulla più, anche perché vengono utilizzati tessuti e tecniche costruttive (applicazione delle tele, cuciture, ecc.) di minor pregio.
Il “su-ordinazione”, che gli inglesi chiamano “made-to-measure”, è un sistema ugualmente industriale, che però consente al cliente di effettuare alcune scelte prima del processo produttivo. Si parte da un capo di prova (scelto tra una serie di modelli standard) e lo si adatta ad alcune misure del cliente. Il risultato è un capo unico, ma non ritagliato interamente sulle misure del cliente, perché bisogna sempre restare nel novero delle variabili previste dai modelli informatizzati e dal ciclo di produzione (sia pure molto più numerose che nel capo di “confezione”).
Questo sistema viene spesso definito “sartoriale”, ma – come ricordato in precedenza da Alessandro – si tratta di un’espressione fuorviante, perché non presenta la fattura artigianale tipica della vera sartoria.
La qualità del “su ordinazione” (offerto oggi – in parallelo al vero “su-misura” - anche dai Kiton, dai Brioni, dagli Zegna, ecc.) è molto variabile. Possono essere offerti capi di buon livello, che però non raggiungono la qualità del vero capo di sartoria (pur avendo un prezzo uguale o superiore…). Oppure possono essere offerti capi di qualità mediocre, in cui il richiamo alla “sartorialità” è solo un pretesto per praticare prezzi più elevati.
Infine, abbiamo il “su-misura” – o, meglio, il “fatto a mano su misura” -, che gli inglesi chiamano "bespoke" : qui non solo la personalizzazione è completa (si può decidere tutto sulla base dei gusti del cliente - tessuti, costruzione del capo - e della sua corporatura), ma si ha anche una dimensione pienamente “artigiana” (sempre nel senso delineato da Alessandro: “fatto a mano” non si riferisce necessariamente alle mani del sarto, ma significa realizzato in un laboratorio in cui il sarto sorveglia ogni passaggio).
Ovviamente, solo il “su-misura” consente di raggiungere il vertice di qualità costruttiva e vestibilità.
Va evidenziato che esistono sarti importanti, che chiedono cifre considerevoli, ma anche sarti più economici, che possono offrire abiti di buon livello se guidati da un cliente con le idee chiare.
A dire il vero, esistono anche i sarti scadenti e quelli che tendono a "tirar via", approfittando dei clienti poco consapevoli...
Tornando alla situazione attuale: finché l’alternativa era tra confezione e vera sartoria, quest’ultima aveva uno spazio di mercato preciso, poiché ad essa sapeva di doversi rivolgere il cliente che voleva il vestito “buono” (per la cerimonia, per la professione).
Oggi il campo della vera sartoria è invaso dal “su ordinazione”, che si spaccia per quello che non è.
Il che ha accentuato la crisi del settore (rallentata, ma non bloccata, dalle “nuove leve”).
Una crisi che non è solo qualitativa, ma di stile.
Il sarto custodisce lo stile classico, del capo destinato a durare decenni.
Il brand impone lo stile modaiolo, destinato a invecchiare dopo poche stagioni.