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L'abito maschile, tradizione e innovazione

ciaca

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Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #15 il: Marzo 16, 2016, 17:04:41 pm »
Citazione
- moda: diceva Oscar Wilde: "la moda è una forma di bruttezza così intollerabile che siamo costretti a cambiarla ogni sei mesi". Teniamola quindi fuori - perchè fuori sta - dal discettare di stile maschile.

- confezione: citando pedissequamente Giancarlo Maresca: "di confezione è il capo che nasce multiplo, eventualmente personalizzato alla vendita. Per essere definito di confezione non conta che il capo sia fatto a mano o a macchina, solo che alla nascita sia concepito e realizzato come multiplo. Bisogna infatti tener distinti i concetti di artigianato e industria".

- manifattura: manifattura non è, come l'etimologia del lemma indurrebbe ad intendere, ciò che è fatto a mano. Manifattura è quell'insieme di processi che, dal medioevo alla società moderna prima e contemporanea poi, hanno portato alla realizzazione di prodotti non secondo le regole dell'artigianato ma della produzione industriale.
In questo è contenuta la definizione di "confezione" di cui sopra, che si rifà quindi al mondo dell'industria e non dell'arte (e quindi dell'artigianato) e della produzione in serie ancorchè personalizzata.

- sartorialità: sartoriale è un aggettivo inventato dai grandi gruppi per ammantare di romanticismo la produzione squisitamente industriale dei marchi che spolpano, lasciando intendere alla sprovveduta clientela che "sartoriale" significhi "realizzato coi criteri del sarto ma con le tecnologie moderne". In realtà non significa nulla, perchè industria e artigianato sono entità separate ed una non può riconoscersi nell'altra se non nella misura in cui la prima cammina sulle spalle del secondo servendosene per vuota propaganda.

- artigianale: ciò che è fatto dal sarto non è sartoriale, è artigianale. Artigianale nella misura in cui è realizzato secondo le regole dell'arte di un uomo che quest'arte la conserva e la padroneggia (è questo il maestro sarto, non chiunque da un tessuto sappia fare un abito) trasferendola in prima persona al capo su cui lavora o, allo stesso modo, indirizzando un gruppo di operai che mettono in pratica comunque il suo stile, manualmente o attraverso l'uso di macchine.

- industriale: industriale è il prodotto non realizzato dal sarto nella propria bottega ma in uno stabilimento e secondo non la richiesta del singolo cliente che gli commissiona volta per volta dei pezzi unici, ma secondo le direttive di un management/centro stile e con processi e tecniche tipiche della produzione in serie anche se con largo uso di manualità.

Condivido nomenclatura e definizioni.
Avere un vocabolario ben definito è il primo passo per schiarirsi le idee. È infatti sulle parole che si formano molti degli equivoci di cui si alimenta la comunicazione e il marketing dell'industria della fuffa brandizzata.

Quanto alle proporzioni e al taglio dell'abito io credo che in quanto prodotto da dover confezionare su misura per la propria figura non esistano regole prestabilite e deve essere il sarto bravo, in accordo col cliente, a dover scegliere le forme e le proporzioni che meglio si adattino sia alla figura che al gusto del cliente stesso.
Non per caso si prova e si riprova, si imbastisce e si scuce, fin quando non si trova la quadra.
Io, per esempio, ho sempre preferito il pantalone stretto e non troppo abbondante alla caviglia, anche quando le tendenze erano di segno completamente opposto. Così come ho sempre preferito una giacca più stretta ai fianchi e un po' più corta, ma il tutto è legato solo ed esclusivamente alla mia corporatura e alle mie proporzioni. Che sono solo mie e di nessun altro.
"A megghiu parola è chidda ca un si dici"

Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #16 il: Marzo 16, 2016, 17:09:41 pm »
Guardare gli Esquire degli anni '30 per ritrovare le medesime proporzioni di oggi, specialmente se uscite da certe forbici.
Siamo in un periodo di grande ricchezza per la sartoria, in cui i migliori sarti pescano a piene mani dalle spalle naturali insellate e ribattute a rullino, le maniche napoletane, gli ampi petti a lancia ed i girovita alti e slanciati tipici dell'asciutta e morbida eleganza partenopea delle giacche di stampo classico di inizio secolo dei Vincenzo Attolini (citato prima da Claudio) alle dipendenze della London House di Gennaro Rubinacci (cosa diversa per i pantaloni, oggi molto più asciutti e corti del tempo).
Basta conoscere e saper dove guardare.
E quando si guarda al vestire maschile classico, anche in un epoca postclassica, si vede sempre un capo di qualità perché le tendenze temporanee lambiscono solamente l'eleganza classica, che non si lascia piegare dalla moda mentre è semplicemente ispirata dal gusto e dai tempi.
Perché la moda non c'entra niente con l'eleganza classica e la tradizione; si parla di un'altra cosa.

Peraltro non è detto che sotto un pullover di Zanone non sia possibile vestire dei pantaloni di flanella cardata fatti dal sarto e calzare delle francesine Alexander.
"Dum differtur, vita transcurrit" (L. A. Seneca)

Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #17 il: Marzo 16, 2016, 17:33:00 pm »
....ho sempre avuto la sensazione che nel sud del ns paese ci fosse, oggi come in passato, più cultura dell'abito maschile "artigianale", e le parole di Alessandro e Angelo, me lo confermano.
Probabilmente molto è dovuto ai grandi Sarti Campani, Siciliani (come il mio sarto) o Umbri che hanno creato il mito dell'eleganza maschile sartoriale.
Nonostante ci siano meno soldi da investire, lo si fa meglio, forse perchè si corre meno e quindi c'è più tempo per riflettere e godersi alcuni piaceri della vita, come scegliere i tessuti e "prendersi del tempo" con un sarto nelle ripetute prove di un abito e infine... indossarlo.

P.S: che l'abito poi non si usa più non sono d'accordo, lo indossano in tantissimi, intere categorie, tutti i giorni...se poi mi si dice che si vedono tanti abiti mal fatti, costati anche molto...

ciaca

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Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #18 il: Marzo 16, 2016, 18:40:53 pm »
A questo punto sono ancora più curioso di conoscere il tuo sarto mio conterraneo :D
Da noi, ormai, categoria virtualmente estinta. I pochi bravi o vanno via o si arrrabbattano, perchè soldi sempre meno e con essi ancor meno quelli che hanno ancora voglia di spenderli in questi piccoli piaceri.
Da questo punto di vista devo dare in parte ragione a chi paventa un progressivo impoverimento della domanda, una nicchia che almeno dalle mie parti è destinata a restringersi sempre di più ancor prima che per imbarbarimento culturale per assenza di risorse spendibili.
A Napoli invece resistono alcuni valenti artigiani che raccolgono domanda da tutta l'italia e oltre. Ma paradossalmente a me viene molto più comodo salire a Roma che non a Napoli, quindi.... ;D
« Ultima modifica: Marzo 16, 2016, 18:43:24 pm da ciaca »
"A megghiu parola è chidda ca un si dici"

guagua72

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Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #19 il: Marzo 16, 2016, 20:56:53 pm »
Guardare gli Esquire degli anni '30 per ritrovare le medesime proporzioni di oggi, specialmente se uscite da certe forbici.
Siamo in un periodo di grande ricchezza per la sartoria, in cui i migliori sarti pescano a piene mani dalle spalle naturali insellate e ribattute a rullino, le maniche napoletane, gli ampi petti a lancia ed i girovita alti e slanciati tipici dell'asciutta e morbida eleganza partenopea delle giacche di stampo classico di inizio secolo dei Vincenzo Attolini (citato prima da Claudio) alle dipendenze della London House di Gennaro Rubinacci (cosa diversa per i pantaloni, oggi molto più asciutti e corti del tempo).
Basta conoscere e saper dove guardare.
E quando si guarda al vestire maschile classico, anche in un epoca postclassica, si vede sempre un capo di qualità perché le tendenze temporanee lambiscono solamente l'eleganza classica, che non si lascia piegare dalla moda mentre è semplicemente ispirata dal gusto e dai tempi.
Perché la moda non c'entra niente con l'eleganza classica e la tradizione; si parla di un'altra cosa.

Peraltro non è detto che sotto un pullover di Zanone non sia possibile vestire dei pantaloni di flanella cardata fatti dal sarto e calzare delle francesine Alexander.
Alessandro, conosci l'Avvocato Maresca? Sei stato un lettore di Monsieur? Sei un Guardiano delle nove porte?

Istaro

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Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #20 il: Marzo 16, 2016, 23:45:31 pm »
Al glossario di Alessandro penso sia utile aggiungere uno schema essenziale delle tipologie produttive nell’abbigliamento maschile (Giorgio, che è del settore, mi correggerà se sbaglio qualcosa).

Le tre categorie essenziali, definite sulla base di un criterio distintivo che è la metodologia di produzione (con un diverso grado di intervento umano), sono: confezione, “su-ordinazione”, “su-misura”.

La “confezione” è il sistema industriale, che realizza i capi su taglia, quindi sulla base di modelli predefiniti (con alcune varianti: il drop, la lunghezza della giacca) su cui è tarato il processo produttivo. Il cliente può solo scegliere tra le taglie e le varianti disponibili, chiedendo al negoziante qualche piccola riparazione (lunghezza delle maniche e dei pantaloni) sul capo già finito.
La “confezione” industriale può offrire prodotti dignitosi, nulla più, anche perché vengono utilizzati tessuti e tecniche costruttive (applicazione delle tele, cuciture, ecc.) di minor pregio.

Il “su-ordinazione”, che gli inglesi chiamano “made-to-measure”, è un sistema ugualmente industriale, che però consente al cliente di effettuare alcune scelte prima del processo produttivo. Si parte da un capo di prova (scelto tra una serie di modelli standard) e lo si adatta ad alcune misure del cliente. Il risultato è un capo unico, ma non ritagliato interamente sulle misure del cliente, perché bisogna sempre restare nel novero delle variabili previste dai modelli informatizzati e dal ciclo di produzione (sia pure molto più numerose che nel capo di “confezione”).
Questo sistema viene spesso definito “sartoriale”, ma – come ricordato in precedenza da Alessandro – si tratta di un’espressione fuorviante, perché non presenta la fattura artigianale tipica della vera sartoria.
La qualità del “su ordinazione” (offerto oggi – in parallelo al vero “su-misura” - anche dai Kiton, dai Brioni, dagli Zegna, ecc.) è molto variabile. Possono essere offerti capi di buon livello, che però non raggiungono la qualità del vero capo di sartoria (pur avendo un prezzo uguale o superiore…). Oppure possono essere offerti capi di qualità mediocre, in cui il richiamo alla “sartorialità” è solo un pretesto per praticare prezzi più elevati.

Infine, abbiamo il “su-misura” – o, meglio, il “fatto a mano su misura” -, che gli inglesi chiamano "bespoke" : qui non solo la personalizzazione è completa (si può decidere tutto sulla base dei gusti del cliente - tessuti, costruzione del capo - e della sua corporatura), ma si ha anche una dimensione pienamente “artigiana” (sempre nel senso delineato da Alessandro: “fatto a mano” non si riferisce necessariamente alle mani del sarto, ma significa realizzato in un laboratorio in cui il sarto sorveglia ogni passaggio).
Ovviamente, solo il “su-misura” consente di raggiungere il vertice di qualità costruttiva e vestibilità.
Va evidenziato che esistono sarti importanti, che chiedono cifre considerevoli, ma anche sarti più economici, che possono offrire abiti di buon livello se guidati da un cliente con le idee chiare.
A dire il vero, esistono anche i sarti scadenti e quelli che tendono a "tirar via", approfittando dei clienti poco consapevoli...


Tornando alla situazione attuale: finché l’alternativa era tra confezione e vera sartoria, quest’ultima aveva uno spazio di mercato preciso, poiché ad essa sapeva di doversi rivolgere il cliente che voleva il vestito “buono” (per la cerimonia, per la professione).

Oggi il campo della vera sartoria è invaso dal “su ordinazione”, che si spaccia per quello che non è.
Il che ha accentuato la crisi del settore (rallentata, ma non bloccata, dalle “nuove leve”).

Una crisi che non è solo qualitativa, ma di stile.
Il sarto custodisce lo stile classico, del capo destinato a durare decenni.
Il brand impone lo stile modaiolo, destinato a invecchiare dopo poche stagioni.
"Non esistono venti favorevoli per il marinaio che non sa dove andare" (Seneca)

Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #21 il: Marzo 17, 2016, 02:13:41 am »
Ineccepibile l'intervento di Gianni.

Solo un minuscolo ma sostanziale rilievo: non credo che il su ordinazione potrà mai davvero sostituire l'autentico bespoke, perché se è innegabile che l'uomo di oggi ha il Rolex e va a 200 all'ora, quindi non conosce più il piacere di accarezzare i tessuti e le fodere col proprio sarto, respirare il profumo ed il clima della bottega, veder prendere forma su di sè il proprio vestito attraverso le prove che ne segnano la gestazione e vive anche il feticcio del bel vestire liofilizzandolo attraverso un ordine su internet, è altrettanto vero che non cesserà di esistere chi invece a 200 all'ora ci va in macchina ma il resto del tempo si gode il lusso del vivere con pienezza il proprio tempo, si gode le sfumature delle cose e non solo le sagome, invece dei Rolex indossa i teatrali e continua a volersi beare della costruzione personale del proprio guardaroba unico attraverso l'arte ed il mestiere di un maestro sarto.
"Dum differtur, vita transcurrit" (L. A. Seneca)

guagua72

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Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #22 il: Marzo 17, 2016, 08:07:54 am »
Mi piacerebbe dialogare con chi ha definito la giacca alla Tagliatore. Tra di noi ce la stiamo raccontando troppo bene, alcun parere contrario mi annoia.
D'altra parte, non vorrei esagerare, la manica a "nappina" la fanno tutti, il fondo dell'abito che pare scivolare all'indietro lo fanno tutti, il revers ampio e pronunciato lo fanno tutti, la giacca un po' "incriccata" la fanno tutti. Credo che anche l'esagerazione della sartorialità a tutti i costi abbia quella punta di troppo che non si addice ad un "gentleman". Insomma, forse perché vengo dalla campagna, ma alle volte vedo degli "elegantoni" troppo elegantoni. Credo sia più interessante rispolverare un bell'abito del nonno con il buco…..

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Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #23 il: Marzo 17, 2016, 10:50:08 am »
Da quanto leggo allora l'unica vera scuola di eleganza rimane quella dei sarti inglesi di Seville Row e di qualche raro sarto napoletano.

Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #24 il: Marzo 17, 2016, 12:00:26 pm »
Mi piacerebbe dialogare con chi ha definito la giacca alla Tagliatore. Tra di noi ce la stiamo raccontando troppo bene, alcun parere contrario mi annoia.
D'altra parte, non vorrei esagerare, la manica a "nappina" la fanno tutti, il fondo dell'abito che pare scivolare all'indietro lo fanno tutti, il revers ampio e pronunciato lo fanno tutti, la giacca un po' "incriccata" la fanno tutti. Credo che anche l'esagerazione della sartorialità a tutti i costi abbia quella punta di troppo che non si addice ad un "gentleman". Insomma, forse perché vengo dalla campagna, ma alle volte vedo degli "elegantoni" troppo elegantoni. Credo sia più interessante rispolverare un bell'abito del nonno con il buco…..

...ti manca la polemica, eh?  :D :D
e cos'è sta novità che siamo tutti d'accordo???  ;)

ciaca

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Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #25 il: Marzo 17, 2016, 12:11:22 pm »
Citazione
Da quanto leggo allora l'unica vera scuola di eleganza rimane quella dei sarti inglesi di Seville Row e di qualche raro sarto napoletano.

Sarti bravi ce ne sono ancora molti un po' da tutte le parti d'Italia, certo a Napoli di più.
Sull'eleganza inglese avrei qualcosa da eccepire ma rischierei di scatenare l'inferno andando a toccare comunque un totem dell'abbigliamento maschile.
Diciamo che la sartoria napoletana ha avuto il grande merito di valorizzare la comodità e la vestibilità al di sopra della formalità, per me non ci può essere eleganza (e piacere) dove c'è un abito "scomodo" o indossato in modo da non essere completamente a proprio agio.
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Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #26 il: Marzo 17, 2016, 21:17:48 pm »
Mi piacerebbe dialogare con chi ha definito la giacca alla Tagliatore. Tra di noi ce la stiamo raccontando troppo bene, alcun parere contrario mi annoia.
D'altra parte, non vorrei esagerare, la manica a "nappina" la fanno tutti, il fondo dell'abito che pare scivolare all'indietro lo fanno tutti, il revers ampio e pronunciato lo fanno tutti, la giacca un po' "incriccata" la fanno tutti. Credo che anche l'esagerazione della sartorialità a tutti i costi abbia quella punta di troppo che non si addice ad un "gentleman". Insomma, forse perché vengo dalla campagna, ma alle volte vedo degli "elegantoni" troppo elegantoni. Credo sia più interessante rispolverare un bell'abito del nonno con il buco…..

...ti manca la polemica, eh?  :D :D
e cos'è sta novità che siamo tutti d'accordo???  ;)

Si quando siamo troppo d'accordo mi sembra strano…..

guagua72

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Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #27 il: Marzo 17, 2016, 21:24:21 pm »
Citazione
Da quanto leggo allora l'unica vera scuola di eleganza rimane quella dei sarti inglesi di Seville Row e di qualche raro sarto napoletano.

Sarti bravi ce ne sono ancora molti un po' da tutte le parti d'Italia, certo a Napoli di più.
Sull'eleganza inglese avrei qualcosa da eccepire ma rischierei di scatenare l'inferno andando a toccare comunque un totem dell'abbigliamento maschile.
Diciamo che la sartoria napoletana ha avuto il grande merito di valorizzare la comodità e la vestibilità al di sopra della formalità, per me non ci può essere eleganza (e piacere) dove c'è un abito "scomodo" o indossato in modo da non essere completamente a proprio agio.
Allora contro gli inglesi  parto io. Ma quale tempio dell'eleganza? Gievesandhawkes sono anni che fanno confezionare i loro capi dai sarti sottopagati in stabilimenti alle Mauritius. Altrochè Brioni. Tutta Savile Row una grande buffonata , un cinema inscenato all'insegna di una finta sartoria, tanto quanto il cambio della guardia. Avete visto i bancari della City in metropolitana con giacche incollate con lo scoth e scarpe di una bruttura allucinante, camicie violette e , lasciatemelo dire, anche poco puliti. Forse di Londra salverei solo le profumerie e alcune barberie….

PESSOA67

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Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #28 il: Marzo 18, 2016, 10:11:44 am »
Io non sono d'accordo ma tant'è...
Quando scrivo di "eleganza inglese" mi riferisco a codici forme tagli proporzioni storia.
Un sarto inglese (e non una Maison, non ho in quel mio ultimo intervento parlato di Brioni nè di case specifiche inglesi) che taglia e cuce su misura dubito si faccia fare il lavoro a 10000 km di distanza, che poi non si lavino quanto tu vorresti è un altro punto utilissimo alla discussione vedo..

Ma evidentemente non basta, allora buttiamo tutto nel gabinetto e osanniamo solo i sarti napoletani.


Istaro

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Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #29 il: Marzo 18, 2016, 16:49:56 pm »
L’Inghilterra è la patria dell’abbigliamento maschile “classico”.

In Inghilterra (e in Scozia) sono stati elaborati – tra Ottocento e Novecento - i tessuti più significativi.
In Inghilterra sono stati definiti – nei primi decenni del Novecento – gli stilemi fondamentali dell’abito da uomo, così come li conosciamo ancor oggi.

L’Italia è il Paese che più ha saputo arricchire questo patrimonio: elaborando varianti di tessuto più leggere e sofisticate, con i lanifici del biellese e le seterie del comasco; addolcendo le forme dell’abito, con i grandi sarti saliti alla ribalta internazionale tra gli anni Trenta e Cinquanta del Ventesimo secolo.

Lo stile che oggi ci sembra più "moderno" (nell’ambito del classico, ovviamente) ed elegante è quello frutto dello sviluppo italiano; ma la paternità è indubbiamente inglese.

L’eleganza maschile moderna nasce in Inghilterra, perché l’Inghilterra dell’Ottocento e di inizio Novecento era un impero, e aveva quindi il dinamismo e la necessità di elaborare codici di appartenenza sociale che rendessero visibile questo primato.

Però la visione di eleganza inglese è sempre stata basata sul concetto di appropriatezza, essere "proper" : ogni inglese doveva indossare esattamente quelle fogge di abito e quegli accessori che esprimevano il suo status e la sua appartenenza ad un determinato gruppo sociale (professione, club, college, ecc.).
La dimensione estetica – attenzione alle forme, ai dettagli, alla qualità - era secondaria, riservata a un’élite.

Quelli che badavano di più all’estetica – anche quando adottarono lo stile inglese - erano i Tedeschi, i Francesi e – naturalmente – gli Italiani. Considerati dagli Inglesi, un po’ sprezzantemente, come popoli molli, vestiti da “gagà”.

Oggi che l’Inghilterra non è più il centro della civiltà la necessità di “appropriatezza” si è indebolita sin quasi a sparire. Le sartorie londinesi non hanno più i clienti con la capacità creativa di dettare regole. Questo declino si è trasmesso, a cascata, al gusto dell’uomo medio, che già non era eccelso in passato e che oggi si è fortemente imbarbarito.

Ciò detto, le più famose sartorie di Savile Row restano di altissima qualità, custodi fedeli (magari con qualche innovazione “italiana”) dello stile che hanno ereditato.
Ed esistono anche, nei quartieri limitrofi (dove gli affitti sono meno esosi), piccoli sarti di buon mestiere.
"Non esistono venti favorevoli per il marinaio che non sa dove andare" (Seneca)