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L'abito maschile, tradizione e innovazione

guagua72

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Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #45 il: Marzo 21, 2016, 07:37:24 am »
Continuo a non capire di cosa si parla, ovvero qual è il tema da discutere. Davvero.

Attenderò di individuarlo (o di individuarne di nuovi) nell'evolversi del topic.
Sul futuro della sartoria, la mia l'ho detta.
Egregio AleArturo le mie domande le ho poste, purtroppo ci abbiamo scritto in pochi, e questo la dice lunga sull'interesse che possa avere il tema. Se il topic non ha più niente da dire cadrà nell'oblio come gli altri, non è obbligatorio scrivere per forza.

Istaro

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Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #46 il: Marzo 21, 2016, 23:06:07 pm »
Un breve cenno storico  sull'industria dell'abito Italiano . Mi scuso per la lunghezza e per la poca scorrevolezza del mio incedere per iscritto....
Il mio nonno Severino che lavorava in fornace, quinta elementare, classe 1919 si faceva fare il vestito dal sarto. Ne aveva due, entrambi di panno di lana uno più leggero e uno più pesante. Li portava per andare a messa o per i funerali. Credo fossero dei primi anni 60 e andavano a sostituire un'altro abito di trent'anni prima. Me li ricordo ancora, fin verso il 1990 li ha portati. Questa è stata la normalità fino alla fine degli anni sessanta prima metà dei settanta, nella provincia Italiana.
Poi il capovolgimento totale, arrivano le industrie, l'urbanizzazione, la consapevolezza di avere tra le mani un salario che permetteva di fare certi acquisti che prima erano proibiti: l'auto, la lavatrice, la televisione, la casa nuova, il mobilio, la cucina componibile. Dietro tutto questo il fenomeno abbigliamento industriale e dopo gli stilisti.....Il Boom economico è stata la morte del sarto vero. Il bespoke Italiano è stato inventato dai Nazareno Fonticoli e Gaetano Savini, ma loro stavano nella città, servivano già gli attori, i personaggi del jet set, insomma, erano già non sarti in senso stretto, ma il capo era veramente di manifattura. Assieme a loro il distretto Mantovano , quello Marchigiano e D'Avenza, storia a parte , le cui vestigia traggono origine da un non precisato Signore Inglese. Poi, un gradino sotto Facis, Lebole...ricordate la pubblicità : " In Lebole è bello..." Questa è stata l'industria dell'abito maschile. Al Sud, Napoli, Calabria e Sicilia i sarti sono rimasti ancora un pco di più, ma anche lì ben presto il mito del Pizzaiolo che tornava al paesello con i soldi era una bella Giacca Armani ( alcuni non toglievano nemmeno l'etichetta sulla manica). Ecco, proprio il Buon Giorgio, croce e delizia del bel vestire all'Italiana e con lui tutti i grandi Stilisti. eccoci Signori, questi hanno distrutto l'abbigliamento maschile classico, nel bene e nel male. Capi che non erano più intelati ma biadesivati, fodere delle più modeste, bottoni di plastica, ma chissenefrega è di.........ma tanto è di.......e così tutti gli anni ottanta e novanta ce li siamo bevuti , assieme a Milano e all'amaro ramazzati. Ah dimenticavo, il fenomeno Yuppies, in controtendenza? No affatto, si parlava di ragazzotti di buona famiglia che amavano vestirsi come lui " l'Avvocato" o il suo uomo " LCDM, Luca Cordero di Montezemolo" ...niente di chè, una meteora tirata fuori dai giornali Capital. E intanto aziende nate sotto la cultura del bel vestito, sulla scia del Brioni e della rivoluzione industriale dei mitici anni sessanta, abiti comunque  " di manifattura" non sapevano dove girarsi. Canali, Corneliani, Luigi Bianchi ( Ricordate il Marchio LUBIAM?), Lardini..ora non me ne vengono in mente altri. Boccheggiavano sull'orlo del precipizio alla metà degli anni 90. Alcuni producevano per i Valentino e altri Stilisti, altri no e morivano. Poi Via si riparte cogli anni 2000, all'insegna del sartoriale, ricordate il tutto impunturato, finto sartoriale di tanti bravi agenti di commercio, ricordate le Scarpe Branchini? o Alla Branchini? Ricordate quei collettoni a quattro bottoni? Ecco il neo sartoriale di oggi è nato lì.....

Il tuo "enciclopedico" post l'ho trovato molto interessante...  :)

Riprendo anche il tuo post di apertura, nel quale scrivevi:

(...) fino a quando l'acquisto sarà dettato dal nome e non dalla sostanza non aspettiamoci grandi voli pindarci o aumenti di qualità. Sempre più mi accorgo, anche frequentando per lavoro il mondo dell'abbigliamento che è il cliente che si ostina con la sua poca cultura di prodotto a sentirsi sicuro nel porto dalle quiete acque del marchio, sospinto dai trend setter impegnai a fare innumerevoli marchette. Credo che quando l'era delle fashion blogger e dei fashion blogger finirà, sommersa da tutta la marea di palle raccontate, potrà ritornare alla ribalta il vero "lavoro". Per ora stanno chiudendo moltissime fabbriche e manifatture del buon vestire e calzare italiano.

La cultura del "marchio" non è in sé negativa.

Io apprezzo sempre di più l'artigianalità. Ma so bene - non scopro l'acqua calda - che non può costituire l'unica via da intraprendere.

Esistono settori merceologici, o prodotti specifici in ciascun settore, in cui la produzione industriale è necessaria, perché offre beni non disponibili in passato (in primo luogo i beni ad alto contenuto tecnologico, ovviamente).

Ed esistono settori o prodotti specifici in cui la produzione industriale è in ogni caso utile, perché offre un buon rapporto qualità/prezzo.
Qui l'artigianalità costituisce una vetta qualitativa, un punto d'arrivo.

Ebbene: laddove c'è industria, il marchio è necessario, perché fornisce una "garanzia" all'acquirente, il quale può non essere in grado - per propria incultura, ma anche per difficoltà oggettive - di "leggere" il prodotto. O di valutarne la durevolezza.
(D'altronde, anche nell'artigianato c'è un "marchio": è il "buon nome" dell'artigiano).

La questione è un'altra: a che cosa è associato il "marchio"?
A un'idea di qualità? ("Comprate i nostri prodotti, perché sapete che sono realizzati con i migliori materiali e le migliori tecniche, per cui garantiscono un'ottima resa e dureranno a lungo")?
Oppure a un'idea di "esclusività" e "moda"? ("Comprate i nostri prodotti, perché sapete che sono l'ultimo grido e sono gli stessi indossati dalla cantante XY o dallo sportivo YZ")?

Il cliente "si sente sicuro nel porto del marchio", certo, e al giorno d'oggi nel porto di marchi associati solo alla moda.
Questa domanda poco esigente, incolta, non stimola un'offerta di qualità.

Ma chi "costruisce" la cultura del cliente?
Venute meno le tradizioni familiari, è soprattutto la pubblicità (quella diretta degli spot e quella indiretta del fashion system).

Di conseguenza, possiamo senz'altro auspicare una "controinformazione" basata sulla qualità e sullo stile come valori.
Una controinformazione che sappia elevare la domanda, stimolando l'attenzione alla qualità: spiegando in che cosa consiste, perché è importante; ma anche indirizzando verso artigiani e - perché no - "marchi" industriali di qualità (a questo proposito, mi farebbe ovviamente piacere conoscere il parere di Giorgio sugli operatori che ritiene attualmente più validi nei diversi settori).
Una controinformazione che può essere veicolata da internet, innanzitutto, e magari da reti di appassionati e da qualche benemerito operatore dei media.

Ma dobbiamo anche auspicare che siano le stesse aziende - o alcune di esse - a investire nel marchio di qualità, ritagliandosi uno spazio in una nicchia che può essere senz'altro produttiva (e così mantenendola in vita), senza appiattirsi sul prodotto mainstream.
"Investire" nel prodotto, quindi. Ma anche, in senso più esteso, focalizzare la comunicazione sulla valorizzazione di questo tipo di prodotto: ricercando accordi a questo scopo, consorziandosi.

Le aziende intelligenti, che ricordano di avere anche una responsabilità sociale e culturale (devono fare profitto, certo; ma il profitto si può fare in molti modi), sono quelle che sanno "creare" e rafforzare il proprio mercato, senza rifugiarsi nell'alibi del cliente che "non chiede più la qualità" (anche perché non sa dove trovarla!).
« Ultima modifica: Marzo 21, 2016, 23:09:10 pm da Istaro »
"Non esistono venti favorevoli per il marinaio che non sa dove andare" (Seneca)

ciaca

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Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #47 il: Marzo 21, 2016, 23:27:39 pm »
Anche io ho ritrovato nella breve ricostruzione storica di Giorgio molti spunti interessanti (e alcune singolari coincidenze, anche il mio nonno materno, operaio dell'Enel nella remota provincia Siciliana degli anni 60 nonché medaglia al valore militare conferitagli in Abissinia, aveva due vestiti fatti dal sarto che ha indossato le domeniche e per le varie cerimonie ancora fino agli anni 80).
Trovo molto pertinenti alcune considerazioni in merito all'inizio della fine coincidenti con l'avvento di certi "stilisti".
Ma è il verso in cui gira il mondo a segnare le dinamiche sociali, e con esse economiche, industriali e culturali, di fronte alle quali sembriamo inermi spettatori e consapevoli "vittime".

Quella di Istaro sull'azienda conscia della propria responsabilità sociale e culturale, al contrario, mi sembra una bella utopia.
Purtroppo questo ideale di "impresa" esiste ormai solo nelle pagine di certi testi accademici (e nell'etica di qualche "padrone" di piccola impresa famigliare, modello che in Italia si sta in ogni modo cercando di distruggere in favore della grande industria di stampo capitalista che, per definizione, obbedisce solo a logiche che con la responsabilità sociale e culturale non ha nulla a che vedere).
« Ultima modifica: Marzo 21, 2016, 23:34:27 pm da ciaca »
"A megghiu parola è chidda ca un si dici"

Istaro

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Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #48 il: Marzo 21, 2016, 23:50:47 pm »
Quella di Istaro sull'azienda conscia della propria responsabilità sociale e culturale, al contrario, mi sembra una bella utopia.
Purtroppo questo ideale di "impresa" esiste ormai solo nelle pagine di certi testi accademici (e nell'etica di qualche "padrone" di piccola impresa famigliare, modello che in Italia si sta in ogni modo cercando di distruggere in favore della grande industria di stampo capitalista che, per definizione, obbedisce solo a logiche che con la responsabilità sociale e culturale non ha nulla a che vedere).

Il problema degli Italiani, lo sappiamo, è l'individualismo esasperato (a volte si rivela anche una virtù, ma non divaghiamo).

Se le piccole imprese sapessero fare gioco di squadra, con la loro enorme capacità creativa potrebbero essere ben più protagoniste...
"Non esistono venti favorevoli per il marinaio che non sa dove andare" (Seneca)

Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #49 il: Marzo 22, 2016, 00:44:38 am »
Riguardo l'individualismo esasperato e rimanendo in tema al buon vestire, forse non tutti sanno che abbiamo un'eccellenza tutta italiana, quella della camiceria con il cotonificio Albini che, anziché cedere, come di consueto, il marchio ai grandi gruppi del lusso, sono oggi talmente potenti da riuscire loro ad acquisire, e quindi assorbire, i due cotonifici più prestigiosi della camiceria inglese: Thomas Mason e David & John Anderson.
Il primo celebre per produrre i filati atti alla realizzazione della tradizionale camicia inglese con pregiati cotoni egiziani, nota anche per esser la camicia che veste da decenni i regnanti ed i nobili inglesi.
Il secondo invece è un cotonificio che produce filati eccezionali, raffinatissimi, con i cotoni più pregiati al mondo e titoli che arrivano finanche al 330/3. Questi tessuti dai titoli più esasperati, li ritrovate poi nelle Maisons d'alta moda più importanti come nelle sartorie più celebri, a costi a dir poco, imbarazzanti.

Aggiungo poi una curiosità circa quello che in molti hanno definito il più celebre sarto di camicie su misura al mondo, si chiama Angelo Inglese, vive a Ginosa (Ta) e da quel piccolo paesino, incredibile a dirsi, vengono cucite a mano le camicie (guarda caso con cotoni David & John Anderson) per star internazionali, regnanti di mezzo mondo, il su misura per alcuni grandissimi Marchi, ecc...
« Ultima modifica: Marzo 22, 2016, 11:00:22 am da claudio969 »

Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #50 il: Marzo 22, 2016, 03:05:13 am »
Interessante Claudio, non sapevo.
Grazie.

La camicia su misura è sempre stata per me una necessità più che un vezzo, avendo le spalle molto larghe in relazione alla corporatura smilza quando ero ragazzino ed anche ora che, facendo rugby e grazie alla palestra, ho preso quasi 18kg.
Quasi la totalità delle camicie di confezione o su ordinazione mi tira - quasi a strapparsi - sui deltoidi nell'alzare le braccia anche mimando il classico gesto del bere la tazzina di caffè, anche con camicie con collo 52 pur avendo io un 38/39.

Ne ho provate diverse grazie anche al fatto che camicerie o sedicenti camiciai a Catanzaro e provincia non ne mancano, mi sono spinto fino a Crotone, ma sempre difficilmente mi sono trovato bene se non con il vero su misura, a prezzi da su misura.
"Dum differtur, vita transcurrit" (L. A. Seneca)

ALAN FORD

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Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #51 il: Marzo 22, 2016, 09:06:25 am »
Ero in fiera e non ho potuto seguire fin dall'inizio la discussione ed ora è diventato davvero impegnativo leggerla tutta!
Non è che qualche anima pia mi fa un breve riassunto di concetti e posizioni?

Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #52 il: Marzo 22, 2016, 09:34:06 am »
Interessante Claudio, non sapevo.
Grazie.

La camicia su misura è sempre stata per me una necessità più che un vezzo, avendo le spalle molto larghe in relazione alla corporatura smilza quando ero ragazzino ed anche ora che, facendo rugby e grazie alla palestra, ho preso quasi 18kg.
Quasi la totalità delle camicie di confezione o su ordinazione mi tira - quasi a strapparsi - sui deltoidi nell'alzare le braccia anche mimando il classico gesto del bere la tazzina di caffè, anche con camicie con collo 52 pur avendo io un 38/39.

Ne ho provate diverse grazie anche al fatto che camicerie o sedicenti camiciai a Catanzaro e provincia non ne mancano, mi sono spinto fino a Crotone, ma sempre difficilmente mi sono trovato bene se non con il vero su misura, a prezzi da su misura.

....aspetta un momentino, nonostante tu hai un collo 38/39, mettendo una camicia 52, basta che alzi poco poco il braccio per il semplice gesto di bere un caffè....ti si strappa la camicia all'altezza dei deltoidi???  :o :o
ehmmm....non so se avete inteso il messaggio ragazzi, lo dico specialmente per i più bellicosi di noi: da oggi, Alessandro, ha SEMPRE ragione!!  :D :D :D

ALAN FORD

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Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #53 il: Marzo 22, 2016, 10:02:09 am »
Un ghiera verde al polso credo sia indispensabile! ;)


guagua72

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Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #54 il: Marzo 22, 2016, 11:57:16 am »
Io direi di fare molta attenzione nell'interloquir col Signor AleArturo, eppure il discorso fluido e delicato come pure la profondità dei suoi interessi , lasciavano trasparire ben altre inclinazioni. Però effettivamente il Rugby, sport praticato dell'Egregio Forumista ben piazzato, è uno delle poche discipline dove i valori hanno ancora il loro peso. Complimenti AleAurturo. Il "Pilone" del Forum Orologiando......

Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #55 il: Marzo 22, 2016, 12:12:51 pm »
Vedi Giorgio come subito ha saputo adeguarsi con toni e modi?! Che ragazzo intelligente!!  ;D

guagua72

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Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #56 il: Marzo 22, 2016, 12:30:16 pm »
Vedi Giorgio come subito ha saputo adeguarsi con toni e modi?! Che ragazzo intelligente!!  ;D
La bellezza dell'italianità. Siamo uomini per tutte le stagioni......

Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #57 il: Marzo 22, 2016, 13:46:37 pm »
Ahahahahah!

No signori, non temete!
Sono un'ala ed anche delle più smilze, arrivo a fatica a 75kg per 1.75m, ho al massimo ambizioni da secondo centro perché ho una buona attitudine agli impatti più che alla corsa.

Il punto dev'essere la conformazione delle mie spalle e particolarmente dei miei deltoidi nella zona di intersezione col pettorale, ma che evidentemente hanno problemi a conformarsi alle normali camicie di confezione.

Ero in fiera e non ho potuto seguire fin dall'inizio la discussione ed ora è diventato davvero impegnativo leggerla tutta!
Non è che qualche anima pia mi fa un breve riassunto di concetti e posizioni?
Ale, credo sia necessario alla luce soprattutto degli interventi didascalici, che con calma tu dia una lettura anche rapida alla discussione, non essendo possibile sintetizzarli efficacemente.
Al di là dei commenti più esplicitamente dottrinali, la trattazione ha visto una digressione sull'evoluzione da sartoria pura alla nascita dei veri e propri brand internazionali sia nell'humus dello stile napoletano che in quello inglese, con allegate considerazioni in merito e circa il futuro della sartoria e dell'industria dell'abbigliamento maschile.
Leggi però, qui si discute per piacere e non per impegno, quindi non c'è alcuna fretta se non quella dettata dalla curiosità di ciascuno di apprendere e confrontarsi.
"Dum differtur, vita transcurrit" (L. A. Seneca)

Istaro

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Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #58 il: Marzo 22, 2016, 15:33:22 pm »
Ahahahahah!
No signori, non temete!
Sono un'ala ed anche delle più smilze, arrivo a fatica a 75kg per 1.75m, ho al massimo ambizioni da secondo centro perché ho una buona attitudine agli impatti più che alla corsa.

Meglio così, perché un fisico eccessivamente robusto è difficile da vestire bene...  :D
"Non esistono venti favorevoli per il marinaio che non sa dove andare" (Seneca)

PESSOA67

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Re:L'abito maschile, tradizione e innovazione
« Risposta #59 il: Marzo 22, 2016, 15:33:51 pm »
Ciao Giorgio,
per me rimane una bella discussione ma forse un po' fine a sè stessa, col rischio che ognuno come capita spesso anche con gli orologi rimanga fermo nelle sue posizioni e conoscenze.
Ci sono ovviamente molte cose che io non conosco ed altre di cui sono a conoscenza nel vestire, quello che vedo con i miei occhi e che avevo sintetizzato è che (inglese o italiana ;)) l'eleganza è sempre meno visibile, forse meno codificata; se poi 100 persone su 100.000 usano il sarto questo non lascia traccia visibile e quindi mi sento realista nel pensare che l'imbarbarimento prosegua senza ostacoli.
A chi produce interessa vendere vendere vendere, basta pensare a questo, per cui le Griffe e l'industria non vengono in aiuto, cosa rimane se non in tempo di crisi un dilagare di brutti vestiti?
Chi se lo può permettere ed ha una testa pensante oltra ad una cultura di base o amore pe rla bellezza, come del resto anche col cibo ad es, segue un suo personale percorso aiutato da chi ha strumenti idee estro e capacità per farlo.
Io adoro anche chi ha la capacità di scegliere due o tre capi in un mercato e riesce a creare un contrasto o viceversa un'armonia tale da creare eleganza, mentre posso altresì sorridere a chi esce vestito da capo a piedi dal commesso di una Griffe del lusso.
Un caro saluto

Roberto