A chiarimento del mio pensiero.
1) L’Europa non è entrata in crisi da venerdì scorso.
L’Europa attraversa un grave crisi politica da quindici anni, da quando, per scrivere la nuova “Costituzione” europea, è stata istituita una Convenzione non elettiva, e quindi politicamente debole, che ha partorito un topolino farraginoso, inutile e destinato a naufragare (esempio preclaro di quello che succede quando non si coinvolge il popolo…).
L’Europa attraversa poi una gravissima crisi economica da otto anni, da quando la crisi finanziaria mondiale è divenuta crisi del debito sovrano e ha condotto alla più lunga recessione della storia, senza che i vertici dell’Unione riuscissero ad adottare una qualsiasi strategia per risollevarsi (affidandosi solo alle virtù taumaturgiche del buon Draghi).
La Brexit non è la causa dei mali dell’Europa, ma il sintomo e l’effetto!
Pensare che le cose sarebbero andate meglio con un esito favorevole del referendum britannico significa nascondere la testa sotto la sabbia.
L’esito del referendum non è certo destinato a migliorare magicamente la situazione, io non l’ho accolto con entusiasmo (mi sono soffermato, piuttosto, sul diritto dei popoli a decidere del proprio destino).
Ma almeno esiste la speranza – remota, ahimè – che il fetore del bubbone esploso possa scuotere dall’apatia.
La questione non è se la Gran Bretagna deve stare dentro o fuori un’Europa allo sbando, ma se l’Europa vuole riformarsi.
(Riprendo anch’io il paragone del Titanic: gli Inglesi hanno scelto di abbandonarlo a brodo di una scialuppa. Riusciranno a salvarsi con quella nell’oceano? Forse no. Ma non è a causa loro se il Titanic sta andando incontro all’iceberg…)
La questione, quindi, non è se l’Europa deve “punire” la Gran Bretagna per evitare l’effetto contagio, ma se vuole tornare ad essere attrattiva per gli Stati e i popoli che ne fanno parte.
Le minacce non servono ad alimentare la coesione tra i popoli, ma solo ad alimentare la rabbia…
Le minacce sono il facile rimedio delle classi dirigenti che non hanno interesse a riformare l’Europa, perché in questo contesto si sono arricchite.
2) L’Europa non deve fare accordi “generosi” con la Gran Bretagna, perché questa non è un Paese in crisi che ha bisogno di essere sostenuto.
La Gran Bretagna, tra i Paesi europei, ha una ricchezza inferiore solo a quella della Germania (anzi, negli ultimi anni ha quasi dimezzato il gap, oltre ad aver superato di gran carriera la Francia!).
Il PIL della sola Gran Bretagna è il quinto al mondo, pari al 20% della somma del PIL di tutti gli altri ventisette Paesi dell’Unione (euro e non euro) messi insieme.
La Gran Bretagna è di gran lunga la più grande potenza militare d’Europa.
Negli scambi commerciali tra partners forti non c’è chi guadagna e chi perde: il guadagno è reciproco. L’Unione Europea ha tutto l’interesse a conservare il più possibile (in forme nuove) gli scambi con la Gran Bretagna. Subentreranno maggiori frizioni e difficoltà, inevitabilmente; ma non ci saranno stravolgimenti.
Gli scenari catastrofisti sono disegnati ad arte da chi ha lucrato sulla crisi e ha interesse a non cambiare le cose.
3) La Brexit, come non è stata la causa della crisi, non è ovviamente neanche la soluzione.
Possiamo dire che con la permanenza della Gran Bretagna in un’Europa riformata, forte e coesa, le cose sarebbero andate meglio per tutti. Sono d’accordo.
Possiamo aggiungere il timore che le attuali classi dirigenti non sappiano fare riforme e quindi la situazione sia destinata a precipitare. Anch’io ho lo stesso timore.
Però non potrà essere la Brexit il capro espiatorio dell’incapacità riformatrice dei vertici dell’Unione (vedi i Renzi che hanno individuato il “punto chiave” nel rilancio “dell’Europa dei musei e del terzo settore”…).
La finanza che tira le fila degli attuali assetti geopolitici può essere tenuta sotto controllo solo dalla politica, che è tale se ha la forza di un vero mandato elettorale.
La forza della politica non dipende dall'estensione delle istituzioni, ma dalla loro reale democraticità.
L'attuale Unione europea non è democratica: è questo il bubbone che gli Europei non tollerano più (anche perché ne hanno apprezzato i risultati...).
Sottolineare che questo bubbone è stato creato dai politici nazionali, i quali vi hanno trovato una comoda copertura per le loro manovre ("ce lo chiede l'Europa"), non muta i termini del problema: non si tratta di spostare il pendolo dagli Stati nazionali all'Unione (o viceversa), pensando di trovarvi la magica soluzione a tutti i problemi, ma di ricondurre le istituzioni (europee e nazionali) al controllo della politica in modo democratico.