Io penso che non si possa prefigurare una sopravvivenza degli indipendenti con il crollo delle grandi maisons.
Il ragionamento secondo cui “dopotutto ai piccoli produttori bastano piccoli numeri per sopravvivere” - se non l’ho frainteso - è troppo semplicistico: se crolla l’intero mercato dell’orologeria meccanica, soprattutto nell’alto di gamma, crolla anche il mercato di nicchia, perché vengono strozzate sia la domanda sia l’offerta.
Dal lato della domanda, come ho già osservato quando parlavamo di smartwatch, le persone amano collezionare esemplari particolari - per pregio, bellezza, rarità, prestigio - di oggetti che appartengono al costume.
Una passione non nasce dal nulla, ma è l'evoluzione dell'interesse o della curiosità verso un oggetto di uso sufficientemente diffuso, quand'anche in ambiti ristretti.
Che fine hanno fatto i collezionisti di... portasigarette? E di bastoni da passeggio?
Di quanta salute gode il mercato dei francobolli?
E per venire più vicino a noi: quanti sono i collezionisti di orologi da tasca?
Finché l'orologio da polso è un accessorio al polso di miliardi di persone, ce ne saranno alcuni milioni che guarderanno con curiosità all’orologeria meccanica: quelli che cercano lo status symbol, quelli che cercano l'investimento, ma anche quelli affascinati dalla qualità dell'oggetto.
Per molti di questi l’attenzione può evolversi in passione e collezionismo.
Per la cerchia ancora più ristretta di quanti ne hanno le possibilità economiche la passione sarà rivolta anche all’alto di gamma, partendo inevitabilmente dai marchi più conosciuti.
Solo alcune centinaia arriveranno ancora a conoscere ed apprezzare l’orologeria indipendente, al termine di un cammino le cui tappe sono state tutte necessarie.
Se salta una delle “tappe” – se cioè l'oggetto perde di riconoscibilità sociale e di attrattiva, se falliscono le case conosciute, ecc. -, allora il mare degli acquirenti (e potenziali appassionati) si prosciuga e la passione diventa in pochi anni quella di una nicchia nostalgica, insufficiente ad alimentare qualsiasi “vocazione” all’orologeria di alta qualità.
La questione si pone in termini simili dal lato dell’offerta.
I grandi orologiai non sono fiori nel deserto, ma figli di una tradizione, anche perché si sono formati nelle scuole tecniche specializzate presenti nei principali distretti produttivi.
E se non sono entrati sin da ragazzi in queste scuole, è in ogni caso in Svizzera (o in Sassonia) che sono quasi sempre andati a “sciacquare i panni in Arno”, a perfezionarsi.
Tra i moltissimi che hanno intrapreso quel cammino, solo alcuni avevano la genialità per emergere. Se non fosse esistito un settore florido, con prospettive professionali per tutti (anche per chi non emerge), in pochi si sarebbero cimentati in quest’arte.
Il discorso vale per gli orologiai più importanti, ma anche per i loro collaboratori, che vengono ovviamente assunti con una formazione di base già solida.
Inoltre, gli orologiai hanno bisogno di componenti meccaniche sofisticate, che in molti casi non possono sviluppare interamente da soli (spirali, rubini).
Ecc.
Insomma: se saltano le strutture portanti dell’edificio (da Longines a Omega, da Rolex a Patek, ecc.) salta anche la mansarda degli indipendenti.