Le banche centrali hanno scopo di lucro ed è questa la radice del debito pubblico.
Qui mi sembra che stiamo forzando un po' i concetti...
Più in generale, a mio parere dobbiamo chiarire a noi stessi l'utilità di alcune riflessioni sulla macroeconomia.
Vogliamo arricchire il nostro bagaglio culturale, per il piacere di una maggiore conoscenza e per accrescere la nostra consapevolezza di cittadini?
Benissimo.
Alcune informazioni ci confermano più in dettaglio nella convinzione che i meccanismi finanziari utilizzati a livello internazionale consegnano enormi guadagni e leve di potere immenso a gruppi ristretti?
Probabile (nel senso che la concentrazione di ricchezza e di potere è un dato abbastanza evidente, anche se spesso ce ne sfuggono i contorni. Non è però detto che ogni fenomeno economico-finanziario debba essere considerato come funzionale a questa concentrazione).
Però... se pensiamo con questo di avere acquisito reale e piena consapevolezza dei meccanismi macro-economici e finanziari; se pensiamo di aver davvero colto i contorni delle concentrazioni di ricchezza e di potere; se pensiamo di aver trovato la ricetta per aggredire quelle concentrazioni, per recuperare sovranità e democrazia economica... allora stiamo davvero facendo il passo più lungo della nostra gamba.
Cadiamo nell'illusione che "più informazione", acquisibile con relativa facilità nell'era di internet, possa ridestare le coscienze.
Si tratta di un' "illusione", perché di informazione, oggigiorno, ne abbiamo pure troppa. Il problema è selezionarla.
Si tratta di un'illusione, inoltre, perché nelle questioni più tecniche, come l'economia, l'informazione acquisibile non è in ogni caso sufficiente, se non è padroneggiata in ambito professionale.
L'economia è scienza complicata, in cui ogni scelta ha implicazioni di segno spesso opposto: ne cogliamo alcune, ce ne sfuggono altre.
Spesso gli stessi grandi economisti prendono cantonate in buona fede (che si aggiungono a quelle che prendono perché "costretti" dalle convenienze o sviati dalle loro debolezze ideologiche).
Insomma: difficile che chi non è economista di professione possa davvero - con tutta la buona volontà e il tempo libero speso in approfondimenti - acquisire conoscenze tecniche sufficienti ad orientare scelte consapevoli.
E se anche fosse possibile a cento persone, o a mille, non si tratterebbe certo della "conoscenza diffusa" sufficiente a ridestare le coscienze delle masse popolari, che non hanno certo il tempo o gli strumenti culturali per giungere a certi livelli specialistici.
Internet o non internet.
Siamo senza speranza, dunque? Non serve diffondere la conoscenza?
La questione, a mio avviso, è che non serve più informazione, ma
più cultura.
Servirebbe quell'insieme di "attrezzi" di conoscenza ed esperienza - cultura "di base" (giuridico-economica, ma anche storico-umanistica), non necessariamente specialistica; senso pratico; esperienza derivante dall'assunzione di responsabilità (lavorative e familiari); ideali e valori morali - che costruiscono il senso critico e la capacità di giudizio, che ci consentono di distinguere l'informazione dalla manipolazione, la notizia autentica e rilevante dalla bufala verosimile e futile.
Senza bisogno di
master in business administration.
Purtroppo, da anni ci spingono ad andare in direzione completamente diversa: ad acquisire
solo conoscenze tecniche, le uniche che - come si sente ripetere - "servono"; a non assumerci responsabilità di lungo termine, a non fare progetti di vita (quelli che ci fanno crescere e maturare).
Servirebbe, poi,
più politica.
Politica intesa non come esercizio del "mestiere di amministrare", per cui i politici sarebbero semplicemente i nostri "dipendenti", i nostri "portavoce", quelli a cui noi - che sappiamo tutto - dobbiamo dare le istruzioni (salvo adeguarci quando arrivano i "tecnici" a spiegarci come oracoli che un fenomeno è "inevitabile"...).
Servirebbe la politica intesa, piuttosto, come
progetto culturale, istituzionale, economico, di cui siano chiari gli attori sociali e gli interessi rappresentati, gli obiettivi perseguiti, i mezzi utilizzati.
In questo progetto, i "politici" e gli "economisti", che dichiarano con schiettezza la loro "identità", possono essere mandatari credibili, di cui possiamo fidarci - entro certi limiti - per le tecnicalità che non ci appartengono.
Mandatari con una delega non in bianco, e negli ambiti ristretti della rappresentanza necessaria: la quale, per essere effettivamente controllata, non può investire ambiti troppo estesi, non può sostituire la necessaria partecipazione diffusa dei cittadini e dei corpi sociali (sussidiarietà).
Anche qui: sappiamo di quale discredito sia stata fatto oggetto, non solo in Italia ma in tutto l'Occidente, la politica; non la cattiva politica (di cui c'è sempre stata abbondanza), ma la politica
in sé.
Dovremmo però anche sapere, almeno a livello di percezione, chi sono i mandanti di questa azione di discredito della cultura e della politica (per non cadere in equivoci: non li individuo in poteri "occulti" o "illuminati"; sono - banalmente - gli attori che detengono visibilmente il potere economico e politico, al di là dell'avvicendarsi dei figuranti istituzionali; e che tengono a mantenerlo e consolidarlo).
E dovremmo anche sapere quali sono stati gli strumenti utilizzati per questa azione di discredito della cultura e della politica (il sistema mediatico ovviamente; di cui fa parte anche internet, che offre grandi spazi di libertà e autonomia, ma che può essere - ed è - fortemente influenzato nei suoi
trend).
Da lì, dalle "fondamenta" di questa consapevolezza, dovremmo ripartire per riappropriarci della nostra libertà e sovranità, piuttosto che dal "tetto" delle teorie macroeconomiche, che rischiano di restare dibattito interessante ma sterile.