Parce sepultis, dicevano gli antichi.
Però attenzione anche a non crearci un'immagine edulcorata di personaggi a dir poco controversi...
1) Su Fo "repubblichino"...
La verità non è che rispose malvolentieri alla chiamata di leva (non rientrava ancora nelle classi della chiamata), ma che si arruolò volontario, entrando ben presto come sottufficiale in uno dei reparti di "élite", i paracadutisti delle Brigate Nere.
Dopo la guerra avrebbe potuto ammettere quei suoi trascorsi, ascrivendoli all'incoscienza giovanile (quando si arruolò aveva diciassette anni) o a un malinteso senso dell'onore nazionale.
Come fecero altri illustri personaggi: Albertazzi, Chiari, Vianello, Tognazzi...
Invece Fo preferì iscriversi al partito di quelli che cercarono di nascondere questo passato, temendo che potesse nuocere al suo impegno politico (come lui, in Italia, Bobbio o Scalfari; o in Germania il clamoroso caso di Günter Grass, altro premio Nobel icona del "progressismo", di cui emerse l'arruolamento come volontario nelle SS).
Ma Fo fece anche peggio. Quando a metà anni Settanta venne fuori la storia della sua militanza repubblichina, iniziò a querelare chi ne parlava, sperando di tacitare la questione. E invece nei procedimenti giudiziari aperti (in particolare uno a Varese) emersero a poco a poco le prove schiaccianti: le sue foto in divisa, le testimonianze dei "camerati" con cui aveva fatto i rastrellamenti, persino le testimonianze dei capi partigiani (!) che negarono la credibilità delle sue giustificazioni ("lo feci per coprire mio padre collegato ai partigiani").
Fino ad arrivare ad una sentenza che recitava: "È legittima dunque per Dario Fo non solo la definizione di repubblichino, ma anche quella di rastrellatore". Una sentenza contro la quale, per decenza, non presentò appello.
L'ipocrisia e l'arroganza del Fo adulto, impegnato a mascherare i fatti e intimidire chi li faceva emergere, mi sembra che non meritino commenti.
2) Sulla militanza politica del Fo artista "impegnato" (e le "censure" che subì)...
Il furore ideologico non sembra essere stato in Fo una febbre giovanile, visto che passò dal fascismo al comunismo.
Negli anni Sessanta iniziò a professarsi "maoista" (chi conosce i crimini della "Rivoluzione culturale" che si compiva in Cina sa quanto poco stimabile fosse questa adesione ideologica),
Durante gli anni di piombo, nei suoi spettacoli - ricordavano Fruttero e Lucentini - "fece scoppiettare più duna allusione assai benevola alla stella a cinque punte delle Brigate Rosse.
Nel 1973, con Soccorso Militante Rosso, lanciò una campagna innocentista a favore di Achille Lollo, l'esponente di Potere Operaio autore del rogo di Primavalle, in cui morirono arsi vivi i due figli (di 22 e 8 anni) di un militante missino.
Memorabile il suo accanimento contro il commissario Luigi Calabresi, un integerrimo servitore dello Stato accusato ingiustamente (come dimostreranno tutti i processi) della morte dell'anarchico Pinelli.
Non solo Fo si unì ai molti (troppi) che sottoscrissero il vergognoso appello contro Calabresi pubblicato su L'Espresso nel giugno 1971 (appello che contribuì a creare il clima d'odio in cui maturò l'omicidio di Calabresi). Ma dedicò a Calabresi un'attenzione particolare, tra cui uno spettacolo teatrale che alludeva alla vicenda e a Calabresi come "commissario cavalcioni" (Pinelli si era suicidato gettandosi da una finestra. L'accusa dei fomentatori d'odio era che Calabresi interrogasse gli indagati facendoli mettere a cavalcioni sui davanzali delle finestre, minacciandoli di buttarli di sotto se non avessero risposto come lui si attendeva).
Con un'altra "opera" teatrale, dopo il Nobel, prese di mira Leonardo Marino, che aveva il "torto" di aver confessato spontaneamente la propria partecipazione all'omicidio di Calabresi e di aver denunciato i propri complici.
La sua "satira" politica era sempre a senso unico, faziosa, sovente calunniosa (e proprio per questo era amato da un certo pubblico, che in lui riconosceva il prototipo dell'artista "impegnato").
Lo stesso dicasi per quella antireligiosa, quasi sempre irridente e volgare.
Fo apparve molte volte in televisione e in radio, sin dagli anni Cinquanta.
Ma lui non voleva esprimere contenuti artistici, anche con allusioni politiche. Lui voleva fare la Rivoluzione, e mettere alla berlina, con accuse personali, tutti quelli che considerava "reazionari"... (e questo sui canali pubblici, con i soldi di quegli Italiani che venivano offesi).
In ogni caso, non fu affatto un emarginato. La popolarità di cui godette fu sempre immensa (e con essa i guadagni).
E non fu neanche un anticonformista.
Sappiamo che nel Secondo Dopoguerra l'attenta strategia del PCI riuscì a consolidare una forte "egemonia culturale" nel mondo della cultura: case editrici, premi letterari e cinematografici, sostegno alle carriere universitarie...
Chi voleva fare strada in quel mondo aveva certo vita più facile a professarsi di sinistra.
Su questo, però, bisogna anche dire che Fo non è stato un mediocre opportunista (come fu invece un Moravia).
Lui era davvero - nel suo fanatismo - un rivoluzionario convinto.
E fu uno dei pochi a pagare un prezzo altissimo per questa militanza, con l'orribile episodio dello stupro a Franca Rame.
3) Sullo spessore artistico di Fo e il premio Nobel...
Il problema dell' "arte" di Fo è che era tutta asservita ai suoi scopi politici.
Non dico con ciò che la vera arte debba essere "pura", avulsa dal contesto sociale e politico.
Ma deve saper esprimere una capacità di comprensione profonda della realtà e di renderla significativa in termini universali.
Altrimenti le modalità espressive diventano mere tecniche propagandistiche.
Se rileggiamo o rivediamo oggi gran parte delle opere di Fo di qualche decennio fa, come quelle di tanti altri artisti "impegnati", le troviamo semplicemente datate e noiose.
Talento artistico, però, ne aveva.
Mistero buffo - anche facendo la tara alle tesi un po' trite che vi ripropone - è opera di grande originalità, il grammelot una geniale invenzione.
Ad ogni modo, il suo talento era soprattutto interpretativo, più che di scrittura.
Un po' poco, a mio avviso, per giustificare un Nobel (pur tenendo conto che quelli per la Pace e per la Letteratura sono stati assegnati ai personaggi più improbabili, giacché è ormai risaputo che è divenuta sempre più determinate la preferenza politica degli accademici svedesi).