I tassi di attualizzazione (o di capitalizzazione) sono un’altra cosa ancora, perché sono tassi convenzionali (costanti) che esprimono il valore presente (o futuro) degli strumenti finanziari.
Ma che stai dicendo? Ma quali convenzionali?!
È chiaro che abbiamo nozioni e concetti differenti, inutile andare avanti. Ribadisco che da ciò che scrivi per me dimostri di non avere la più pallida idea di cosa sia il valore del denaro nel tempo.
So Che può sembrarti troppo duro ma se mi scrivi che un tasso di attualizzazione è convenzionale, é costante ed esprime il valore degli strumenti finanziari, vuol dire che non ne hai mai dovuto determinare uno né hai mai dovuto fare una valutazione d'azienda o di una semplice previsione di flussi di cassa.
La discussione comunque esula dall'oggetto in dicussione, per capire il valore del denaro nel tempo ci sono ottime pubblicazioni e chi ha voglia di approfondire può fare ricorso a quelle (o iscriversi ad un master)
Qui in questa sede ci basti sapere che la pretesa di stabilire il valore attuale degli orologi di un tempo con l'ausilio del solo indice di rivalutazione ISTAT (ossia della sola inflazione rilevata quella si in modo convenzionale) è un grossolano errore.
Certo che sei una persona indecifrabile…
Io sottolineo, nel mio precedente intervento, che
Non ho parlato specificatamente dell’indice Istat, anzi ho aggiunto: “Un discorso a latere è quello sull’effettiva affidabilità delle metodologie di misurazione dell’inflazione, sulle discrepanze tra indici generali e indici settoriali, ecc.” (per inciso: l’Istat, oltre all’indice generale, elabora anche indici settoriali).
e tu mi attribuisci l’esatto contrario, evidenziando in grassetto e in rosso!
E ci aggiungi qualche sgarbata considerazione sulla mia conoscenza di questi argomenti, incurante del fatto che io abbia dovuto correggere più volte alcune tue affermazioni sgangherate (anche se ho cercato di sfumare i toni chiamandole “equivoci”).
L’eccesso di tatto, a volte, può essere frainteso e scambiato per impaccio…
Allora puntualizziamo.
Se c’è una persona che ha evidenziato di non avere dimestichezza con questa materia, quella sei tu.
Vedi, non basta confrontarsi con il proprio avvocato su alcune questioni legali per diventare giuristi.
Né pianificare le attività della propria azienda col proprio commercialista (o discutere dei propri investimenti finanziari col proprio promotore, magari leggiucchiando
Il Sole 24 Ore o navigando un po’ in internet) per diventare economisti.
Tenersi informati a 360° è un bene, perché ci aiuta a rapportarci con i tecnici in maniera più consapevole, a porre le giuste domande, a capire meglio le loro risposte.
Ma non ci consente di padroneggiare in pieno le materie o addirittura di mettersi a dare lezioni. Per quello servono i fondamenti, che si assumono con lo studio e l’esperienza professionale.
Io cerco sempre di parlare con cognizione di causa.
Se non so, taccio o pongo domande o formulo ipotesi.
Se la materia è opinabile, ancorché da me studiata, uso formule dubitative.
I rari casi in cui mi permetto di essere più assertivo, come in questo topic, è perché vengono in causa
concetti tecnici non opinabili, su cui mi posso esprimere perché sono stati oggetto dei miei studi universitari e di parte della mia attività professionale.
Resto anche qui interessato al parere di chi fosse più esperto di me.
E non ritengo utile, di norma, accampare le proprie “competenze” per dare una patente di autorità a ciò che si scrive. L’autorevolezza deve essere dei contenuti e deve emergere da come sono espressi.
Però non gradisco gli apprezzamenti personali immotivati.
E trovo francamente stucchevole dover replicare continuamente a chi, non conoscendo la materia, non è interessato a un dialogo costruttivo, ma punta solo ad “aver ragione”; spostando in continuazione l’oggetto del discorso (le mele, le pere, le susine…) e ritenendo – forse – che creando confusione si possa fare affidamento sulla sospensione del giudizio da parte di chi legge (ma che ti importa che se qualcuno suppone che tu non sia onnisciente?!
).
Ricapitolando:
1)
La pretesa di sommare – per misurare la variazione di valore “reale” di un bene rivendibile (e quindi la variazione del potere d’acquisto della moneta spesa per l’acquisto e ricavata con la vendita) –
variazioni degli indici dei prezzi e variazioni dei tassi di cambio è un errore marchiano.
La variazione di potere d’acquisto della moneta si misura con gli indici di prezzi,
per definizione economica. Le discussioni sulla correttezza degli indici sono interessanti (e anche importanti in altra sede), ma non cambiano i termini essenziali della questione (e quindi l’approssimazione di chi commette quell’errore marchiano).
2)
La pretesa di sommare – agli stessi fini –
variazioni degli indici dei prezzi e tasso legale di interesse è un errore ancora più marchiano.
3)
La sorpresa nel sentir definire “convenzionale” il tasso applicato per i calcoli di capitalizzazione/attualizzazione indica proprio la scarsa conoscenza della materia, tipica di chi usa il termine “convenzionale” in un’accezione propria del linguaggio comune e non in senso tecnico.
“Convenzionale” è un valore definito ai fini di un calcolo (quindi sta per il contrario di predeterminato).
Tu consideri più appropriato il termine "convenzionale" se applicato alle rilevazioni ISTAT, forse riferendoti al fatto che quando si costruiscono i panieri sono assunti convenzionalmente - proprio nel senso che ho esposto - alcuni parametri per la ponderazione dei diversi beni. Ma gli indici in sé non sono un fattore di calcolo (anche se potranno essere utilizzati per calcoli futuri), bensì i risultati di una rilevazione, quindi un dato che attende di essere definito (e utilizzato) sulla base di elementi non disponibili a priori.
I tassi utilizzati nelle operazioni di attualizzazione/capitalizzazione, invece, sono “convenzionali” perché il loro valore non è predeterminato né dipendente da dati non disponibili, ma è assunto liberamente in sede di calcolo scegliendo o ponderando alcuni parametri di riferimento disponibili a priori (perché risultato di rilevazioni passate: rendimenti di titoli di Stato, media degli indici dei prezzi, media dell’andamento di un mercato, ecc.): nel momento in cui ho definito i parametri, ho già il tasso da utilizzare come fattore di calcolo.
Quei tassi, poi, sono di norma
costanti, perché devono prevedere un andamento
futuro (prevedere andamenti non costanti significa caricare le formule di numerose variabili; ma questo si può fare solo in alcune applicazioni concrete; e certamente
non nella rivalutazione/svalutazione monetaria, che era la materia della discussione).
Inoltre, si definiscono concettualmente con riferimento a
“strumenti finanziari” intesi in senso generale: capitale e rendita.
Il non addetto ai lavori, ovviamente, fraintende e pensa agli “strumenti finanziari” intesi in senso commerciale (prodotti d’investimento) o alle sole applicazioni concrete che di questi concetti ha incontrato nella sua esperienza personale (immobili, prestiti, investimenti aziendali, ecc.). I casi concreti costituiscono però un ginepraio di variabili in cui ci si può districare solo avendo chiari i fondamentali.
La discussione comunque esula dall'oggetto in dicussione, per capire il valore del denaro nel tempo ci sono ottime pubblicazioni e chi ha voglia di approfondire può fare ricorso a quelle (o iscriversi ad un master)
Appunto.