Quando far intervenire la razionalità, il calcolo? Tu dici non dipende dalle finanze di ognuno di noi, io dico è strettamente legato invece a queste...
Quando è accettabile che entri in gioco la razionalità e come questa può esser indipendente dalle ns finanze?
Claudio, tener conto delle nostre disponibilità finanziarie non è “razionalità”, è mera necessità, vincolo esterno.
Chi fa debiti (o toglie il cibo di bocca ai propri figli) per comprare ciò che non può permettersi non è poco razionale, ma semplicemente malato.
Però il vincolo economico non è solo esterno, ma anche interno: è quello che ci poniamo noi stessi quando
ragioniamo sulle nostre scelte e sul valore di ciò che scegliamo.
In effetti, tutte le volte che facciamo una “scelta” (di un oggetto, di un lavoro, di una persona, di un evento…) stiamo esprimendo una preferenza rispetto a qualcos’altro.
Altrimenti prenderemmo (ci impegneremmo con, parteciperemmo a) tutto!
Le possibilità “infinite” non le ha nessuno.
Non di denaro (neanche uno sceicco del Brunei).
Non di tempo (la risorsa più preziosa).
Neanche in termini di disponibilità di ciò che costituisce l’oggetto della nostra scelta, che può essere raro/unico (un bene), irripetibile (due eventi concomitanti), geloso (un marito o una moglie non amano essere “condivisi”), ecc.
Tutte le volte che facciamo la nostra scelta verso qualcosa
che pur ci possiamo permettere stiamo in ogni caso rinunciando a qualcos’altro.
Sulla base di quale criterio facciamo la nostra scelta?
Limitando la razionalità al vincolo economico
esterno, tu neghi la possibilità stessa della razionalità.
In effetti, mi parli solo di “emozione”…
Ti domando però: perché chi controlla le emozioni si “autopunisce”?
Anche chi si abbandona alle proprie emozioni rischia di autopunirsi, “soffocando” la voce della razionalità (che significa conoscenza, esperienza, capacità di ponderare e di
riconoscere il valore delle cose - che non è solo quello economico -, ecc.).
Tu forse ti potevi permettere la revisione di un Antiqua.
Ma hai “razionalmente” considerato esagerata (e semi-truffaldina) la richiesta di Halter…
Un “appassionato”, per come lo intendo io, non è la
vittima di un’attrazione irrefrenabile (“passione” in senso stretto e melodrammatico), ma una persona che – spinta da un’attrazione, anche emotiva – studia e approfondisce, quindi accresce la propria consapevolezza.
In generale, io contesto fortemente che nelle nostre scelte – cioè in tutta la nostra vita – si debba essere guidati solo dalle emozioni. Le emozioni sono
una parte della nostra vita, che non va soffocata, ma non deve neanche diventare preponderante, altrimenti risulta ingannevole.
(Vi risparmio le mie divagazioni sul degrado della cultura moderna, e sulla perdita del valore delle cose, derivanti dal primato dell’emozione – e della femminilizzazione… - e dalla suggestionabilità che ne discende
).
In conclusione: per me potrebbe essere “razionale”, in linea teorica, anche l’acquisto di un Patek 5711.
Ma
non perché sia un “investimento”, proprio perché non voglio ridurre la scelta razionale a quella economico-finanziaria (oltre al fatto che chi lo considera tale non sa far di conto).
Piuttosto, spero che chi lo acquista abbia ben misurato il controvalore che può assumere per lui l’orologio in termini di fattura, di estetica, di riconoscibilità sociale (anche questo può essere per alcuni un valore), di confronto costi/opportunità (a che altro rinuncio?), ecc.
In ogni caso, spero davvero di non sentire che ci si è orientati su un 5711 (o su un Dufour: il principio è lo stesso) perché non si è saputo resistere a “un’emozione”…