Purtroppo sono d'accordo con te, Gianni.
Viviamo un periodo di resa e smarrimento. La lingua è uno degli elementi principali nel forgiare l'identità nazionale. Probabilmente, visto l'immagine positiva che ci eravamo creati e visto come eravamo ben accolti da molti Paesi del Terzo Mondo (si diceva così prima), se non avessimo assistito passivamente e inermi all'operazione di deculturazione dei nostri valori, che hanno svolto i fondamentalisti in molte parti del mondo, magari in certe aree, la situazione non sarebbe così catastrofica.
La lingua è una forma di identità, andrebbe presa più sul serio.
Siccome i muri non reggeranno e nel 2050 la popolazione africana sarà raddoppiata, se non abbiamo una nostra identità, siamo finiti.
Ma poi, dagli anni Settanta, abbiamo sempre svolto una politica estera di aiuti e cooperazione verso molti Paesi, molte iniziative di successo (in gran parte dell'Africa, l'immagine italiana era legata all'impegno nel mondo dell'istruzione e della sanità dei missionari, ad esempio), che ci hanno fatto apprezzare e prendere a modello da molti (escluso in Libia, dove abbiamo avuto un comportamento criminale).
E adesso che facciamo? Rimaniamo passivi. Spettatori in prima fila. Non difendiamo noi stessi, non difendiamo la lingua italiana, non difendiamo i valori cristiani. Assistiamo all'evolversi del mondo, affetti da una crisi di timidezza. Una introversione rapida e radicale. La fine delle passioni internazionali e della fiducia nel futuro. Dall'apertura verso gli altri, siamo passati alla paura degli altri. Dovremmo essere propositivi e difendere i nostri valori e invece giochiamo alla ritirata. Calpestano i nostri valori e noi siamo capaci solo a usare la politica del piagnisteo e non siamo credibili per nessuno.
Scusate lo sfogo.