un interessante articolo tratto dalla Stampa:
Napoli è “bruciata” dalla Finanza
Si produce in Cina, su ordinazione
Dieci operai cinesi a Caserta. Tutti casa e bottega: non avevano il permesso di soggiorno e quindi, dalla «fabbrica», uscivano poco e niente. Mangiare e dormire accanto alle macchine per cucire. Lavorare 16 ore al giorno per quattro euro. È l’economia cinese della contraffazione, esportata nel casertano, ovvero: la schiavitù della porta accanto. Gli acquirenti sono italiani. E tra gli italiani, a volte, anche negozianti con vetrina e partita Iva, o venditori ambulanti. Per quanto innocente possa apparire, dietro l’acquisto su una bancarella, a volte c’è un crimine di alto livello: «Mi pagano 40 centesimi per ogni paio di scarpe cucite e non riesco a cucirne più di dieci al giorno», ha ammesso una ragazza cinese, un mese fa, agli agenti della squadra mobile di Caserta, guidata da Rodolfo Ruperti. È il neoliberismo più sfrenato. Un paio di scarpe costa alla «fabbrica» 4 euro. All’ingrosso viene rivenduto a dieci. Finisce sulle bancarelle oscillando dai 15 ai 50 euro. È quasi tutta produzione cinese.
Le loro «fabbriche» nel napoletano stanno diminuendo. Questione di rischi. Il contrasto della Guardia di Finanza, guidata a Napoli dai colonnelli Sandro Baldassari e Alessandro Barbera, rende sempre più rischiosa la produzione «italiana»: meglio produrre in Cina e portare qui la merce. Parliamo di prodotti che giungono in Italia già griffati. Soprattutto scarpe e orologi. La merce parte dalla Cina, viaggia in nave, a quanto pare, grazie al contrasto della Finanza, non arriva più al porto di Napoli come in passato. Altra trafila: percorsi dell’Est (Romania e Turchia) o porti spagnoli. Dai porti, nei tir, la merce va ovunque. Spesso elude i controlli con il trucco del «regime di transito». Il container - per esempio - si ferma al porto di Napoli solo per «transito». Viene piombato, identificato, segnalato per il controllo, che avverrà soltanto nella destinazione finale, per esempio il Lazio. Ma nel tragitto il container svanisce. Non arriverà mai alla destinazione ufficiale: la merce sarà smistata senza lasciare più tracce. Tranne le caselle vuote nei registri delle dogane.
Un paio di scarpe, come un orologio, costa al grossista cinese intorno ai 4 - 5 euro. Proviamo ad acquistare degli orologi all’ingrosso. Ibrahim ci accompagna dal grossista. «Mi dispiace. Non è così che funziona»: la donna cinese è irremovibile. Il figlio pure. Non si fidano: Ibrahim, prima di portare un «ospite», avrebbe dovuto avvertire. Togliamo il disturbo, prima di bruciare la fonte e mandare a monte «l’affare»: 300 euro da «investire» in orologi falsi. Più tardi Ibrahim ci raggiunge in un bar: nella borsa ha 21 orologi. Cartier, Breitling, Rolex, IWC, Bulgari, Ferrari, Panerai. Quanto li ha pagati? 8 euro per un Rolex, 10 per Cartier e IWC, 18 per un Eberhard. Qualità: bassa. Nessuno, intenzionato davvero a comprare un Cartier, lo acquisterebbe. Resta il fatto che un orologio a ricarica automatica, prima di entrare in questo mercato, costa circa 4 euro. Esattamente quanto un paio di scarpe contraffatte. Prima di arrivare al grossista, passa dall’intermediario, che raccoglie gli ordini. Il mercato si muove con due regole principali. Si smista solo merce già ordinata. Si paga in anticipo e in contanti. Su ogni pezzo, l’intermediario cinese che sta in Italia, guadagna uno o due euro. Secondo la GdF, un buon intermediario, solo a Napoli, è capace di movimentare 10 mila paia di scarpe alla settimana. In base a questi conti, dietro l’orologio di Ibrahim, c’è un intermediario che guadagna circa 480mila euro l’anno. Paga il pizzo alla camorra. Conduce una vita riservata e modesta. Non usa carte di credito. Non ha conti in banca. I finanzieri l’hanno compreso dalle intercettazioni. E trovare un’interprete cinese è un’impresa. «Alcune ragazze lavorano per noi, ma lo nascondono ai genitori», dice il colonnello Barbera, «perché sentono di tradire la loro comunità». Intanto, ventiquattrore dopo, Ibrahim ha piazzato un Eberhard a 30 euro, due Ferrari a 25, un paio di Rolex a venti l’uno. Un medico gli ha ordinato altri 56 pezzi. Totale: 120 euro e ancora 17 orologi nella borsa. «Tra una settimana andiamo a comprare la merce a San Marino», dice Ibrahim. «San Marino?». «È anche meglio di Napoli - dice -. Se vendiamo una decina di orologi, possiamo reinvestire altri trecento euro». «Trecento euro?», obiettiamo, «sono quattordici anni che lavori in Italia e rischi costantemente l’espulsione: l’intermediario cinese, su gente come te, ci guadagna 500mila euro l’anno». «Sì? Io invece ho comprato una casa in Senegal. Per la mia famiglia e per la mia vecchiaia». Resta solo un dubbio: quale sarà la vecchiaia della ragazza che guadagnava 4 euro al giorno.