In sintesi il problema è tutto qui.
E la causa, come sempre, è la totale assenza di una qualunque "politica", sia essa industriale, economica o della scuola e della formazione, nel senso proprio e alto del termine.
Perché una politica propriamente detta richiede statisti (che non abbiamo) e soprattutto coraggio, prima di tutto nel cambiare lo status quo e tutto l'apparato feudale che vi afferisce. Che nella scuola non è diverso da ogni altro apparato pubblico.
Come può "riformare" tutto questo chi dello status quo è espressione e referente allo stesso tempo, e il suo consenso e la sua legittimazione li fonda proprio sulla "conservazione"? Non può, nemmeno se si fa chiamare "riformista" (cambiare tutto per non cambiare niente Cit.).
Manca poi, clamorosamente, l'opinione pubblica, che dovrebbe essere il motore di ogni riforma e cambiamento.
Meglio pensare a piazzare il figlio o il nipote riscuotendo crediti nel complesso meccanismo delle clientele su cui è fondato questo paese.
Alla fine degli anni 80, quando l'informatica personale era già una realtà consolidata e i PC iniziavano a popolare le scrivanie, anche quelle impolverate delle università, e quando giovani studenti programmavano già in assembler e compilavano sulle più recenti architetture x86 (80286 e 80386), i corsi di informatica dell'università degli studi di Parermo vertevano sui processori Intel 4004 dei primi anni 70.
E così uno di questi studenti, la cui cultura e preparazione in materia era superiore a quella dei professori che si ritrovava dietro la cattedra, all'università ci andava solo per gestire le BBS pirata che giravano sui server del dipartimento, che professori e assistenti erano a mala pena in grado di accendere
E per il "pezzo di carta", altro polveroso retaggio di un paese fermo ancora al latifondo del gattopardo.
Uno di quelli era un mio fraterno amico, che oltre a permettermi di usare qualunque software volessi perché era in grado di crakkare qualunque protezione hardware o software in meno di mezza giornata, oggi parla americano, ha moglie e figli americani, di daytona può permettersene uno al giorno e per non andare a mordere la mela quelli della finestra sono pronti a ricoprirlo d'oro.
Il che non deve stupire in un paese che era tra i più avanti nel campo della ricerca informatica ma che in un decennio ne è rimasto completamente tagliato fuori. Che fa un ingegnere informatico oggi in Italia? Se gli va bene scrive qualche buona app per smartphone o disegna il sito internet dello zio Peppino.
Citerei anche il caso di altro amico che a 16 anni venne mandato negli USA per un anno di scambio (una specie di Erasmus).
Peccato che al suo ritorno la scuola italiana, la stessa che lo aveva mandato negli usa, non era disposta a riconoscergli l'anno trascorso all'estero.
Per non perdere un anno i genitori lo mandarono a Roma in una scuola parificata alle high School statunitensi, conseguì il suo diploma e da li iniziò un percorso che lo ha portato ad essere, lontano da questo paese di imbecilli, quello che volgarmente chiamiamo un "top manager".
Di casi così, noi terroni storicamente senza alcuna prospettiva, ne possiamo citare a dozzine ciascuno.
Abbiamo pure dei premi appositi che con orgoglio ogni anno conferiamo a testa alta a questi terroni d'esportazione di successo, quando sono la prova provata del nostro fallimento e della nostra mediocrità. Idioti fino in fondo.