Orologico Forum 3.0

«La crise horlogère n’est pas une crise économique»

Patrizio

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Re:«La crise horlogère n’est pas une crise économique»
« Risposta #30 il: Ottobre 06, 2016, 08:49:03 am »
ragazzi basta. Istaro basta, mbelt basta. Basta tutti.
un'altra parola fuori luogo e chiudo
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guagua72

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Re:«La crise horlogère n’est pas une crise économique»
« Risposta #31 il: Ottobre 06, 2016, 08:52:45 am »
Non è per niente preoccupato del peso preponderante che ha per il marchio il Royal Oak.

Io non sono francofono e ho capito poco e male del testo, ma questo l'ho letto anche io. Il fatto che il signore in questione lo dica però non ne fa una verità assoluta. Mi sembra anzi una cosa evidentemente preoccupante avere una tale percentuale della tua attività legata ad una sola linea.
Mi sembra più una di quelle cose evidenti che non puoi negare e provi a passare come normale. Poi però dice anche che i punti vendita più interessanti sono quelli che vendono anche gli "ossi", segno evidente che spererebbero bene di vendere anche altro.
Rolex potrebbe scampare con il Sub, il Daytona e qualche GMT. Tuttavia invece di produrre quelli a rotta di collo "perde tempo" anche con il resto della gamma ed anche Rolex da sempre ha politiche che favoriscono i concessionari che diversificano. Se ho risorse per produrre 10 orologi, che senso avrebbe farne 6 che brucio in un pomeriggio e 4 che nessuno considera se non al 40% di sconto? Che senso ha produrre e spedire i "complicati" YM e Sky Dweller che evidentemente nessuno vuole?
La realtà è che oltre alle parole nessuno vuole essere trainato da un solo cavallo e che ogni sera si accende un bel cero perchè la salute del cavallo sia preservata.

Beh, oltre ad "accendere un cero" ha sottolineato anche lo sforzo di ringiovanimento, perché "il peggior rischio, per un design, è invecchiare con la sua clientela".

Ha anche fatto capire che hanno qualche progetto per le altre linee di prodotto.

Ad ogni modo, non sto dicendo che abbia ragione lui.

Però mi sembra interessante annotare come una maison possa andar bene, e meglio di molti altri nel suo settore, facendo l'esatto contrario - o quasi - di quello che tutti (me compreso) suggeriamo nel forum.

Possiamo pensare che nel lungo periodo si tratti di una politica miope. Ma "nel lungo periodo - diceva Keynes - saremo tutti morti..."

Insomma, non è mai facile insegnare il mestiere a chi lo fa di professione. Si può sempre far meglio (tanti CEO fanno danni), ma non è mai facile individuare con precisione dove e perché...
Ma è qui il problema, la conoscenza....AP non va bene, nel modo più assoluto. Se ora sta andando leggermente meglio è perché ha ridotto ad un terzo prima di altri le referenze (ripeto "ad un terzo") e ha ridotto moltissimo la produzione. Ha fatto cioè proprio quello che alcuni di noi dicono da anni. L'ha fatto prima di altri perché l'azienda è stata prima delle altre sull'orlo del fallimento, e anche gli assetti proprietari sono mutati oltre ai vertici. Quindi credo che leggendo l'intervista del CEO AP conoscendo questa realtà il quadro che emerge è tutto diverso da quello che descrivi.
Però vedi Marco, qui non stavamo sentenziando su quanto noi sappiamo di Audemars Piguet, si stava discutendo sulla base di ciò che era scritto in quell'articolo. Partendo da quell'articolo ciascuno di noi dava poi la propria interpretazione ai dati sciorinati dal Signore che è a capo del marchio.

mbelt

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Re:«La crise horlogère n’est pas une crise économique»
« Risposta #32 il: Ottobre 06, 2016, 09:34:21 am »
Non è per niente preoccupato del peso preponderante che ha per il marchio il Royal Oak.

Io non sono francofono e ho capito poco e male del testo, ma questo l'ho letto anche io. Il fatto che il signore in questione lo dica però non ne fa una verità assoluta. Mi sembra anzi una cosa evidentemente preoccupante avere una tale percentuale della tua attività legata ad una sola linea.
Mi sembra più una di quelle cose evidenti che non puoi negare e provi a passare come normale. Poi però dice anche che i punti vendita più interessanti sono quelli che vendono anche gli "ossi", segno evidente che spererebbero bene di vendere anche altro.
Rolex potrebbe scampare con il Sub, il Daytona e qualche GMT. Tuttavia invece di produrre quelli a rotta di collo "perde tempo" anche con il resto della gamma ed anche Rolex da sempre ha politiche che favoriscono i concessionari che diversificano. Se ho risorse per produrre 10 orologi, che senso avrebbe farne 6 che brucio in un pomeriggio e 4 che nessuno considera se non al 40% di sconto? Che senso ha produrre e spedire i "complicati" YM e Sky Dweller che evidentemente nessuno vuole?
La realtà è che oltre alle parole nessuno vuole essere trainato da un solo cavallo e che ogni sera si accende un bel cero perchè la salute del cavallo sia preservata.

Beh, oltre ad "accendere un cero" ha sottolineato anche lo sforzo di ringiovanimento, perché "il peggior rischio, per un design, è invecchiare con la sua clientela".

Ha anche fatto capire che hanno qualche progetto per le altre linee di prodotto.

Ad ogni modo, non sto dicendo che abbia ragione lui.

Però mi sembra interessante annotare come una maison possa andar bene, e meglio di molti altri nel suo settore, facendo l'esatto contrario - o quasi - di quello che tutti (me compreso) suggeriamo nel forum.

Possiamo pensare che nel lungo periodo si tratti di una politica miope. Ma "nel lungo periodo - diceva Keynes - saremo tutti morti..."

Insomma, non è mai facile insegnare il mestiere a chi lo fa di professione. Si può sempre far meglio (tanti CEO fanno danni), ma non è mai facile individuare con precisione dove e perché...
Ma è qui il problema, la conoscenza....AP non va bene, nel modo più assoluto. Se ora sta andando leggermente meglio è perché ha ridotto ad un terzo prima di altri le referenze (ripeto "ad un terzo") e ha ridotto moltissimo la produzione. Ha fatto cioè proprio quello che alcuni di noi dicono da anni. L'ha fatto prima di altri perché l'azienda è stata prima delle altre sull'orlo del fallimento, e anche gli assetti proprietari sono mutati oltre ai vertici. Quindi credo che leggendo l'intervista del CEO AP conoscendo questa realtà il quadro che emerge è tutto diverso da quello che descrivi.
Però vedi Marco, qui non stavamo sentenziando su quanto noi sappiamo di Audemars Piguet, si stava discutendo sulla base di ciò che era scritto in quell'articolo. Partendo da quell'articolo ciascuno di noi dava poi la propria interpretazione ai dati sciorinati dal Signore che è a capo del marchio.
E io cosa avrei fatto di diverso? In un discorso non puoi isolare una frase dal resto del testo. In una intervista non puoi , per capirla davvero, isolarla da informazioni su cosa sia Ap, su cosa sia stata Ap cinque anni fa, su cosa sia Ap oggi. Chiaro che il Ceo non lo dice, ma in realtà il successo molto relativo di Ap oggi non riporta Ap a quello che era anche solo cinque anni fa. Ora aumenta le vendite? Si, ma resta molto sotto a quello che era solo pochi anni fa, e lo può fare perché ha affrontato una crisi prima degli altri, cioè, paradossalmente, perché andava peggio degli altri. Poi, lo ripeto, basta leggere e si vedono patenti contraddizioni in quello che è riportato proprio sui numeri di produzione e sui bilanci. Allora visto che è la prima volta che vedo questo Ceo contraddirsi vistosamente nella stessa intervista, devo pensare sia stata riportata male, o in parte, perché così non regge. Solo questo ho inteso evidenziare. Non si è d'accordo? Lo si scrive, o meglio si scrivono le proprie ragioni. Ma se si fanno attacchi personali, insulti, accuse ridicole di non leggere, poi diventa una rissa. Allora ripongo il problema: la si smette o si continua ad andare avanti così? Io non sono disponibile, grazie. Ognuno esponga le sue idee senza attaccare gli altri. E non mi riferisco a te Giorgio.
Ps: peraltro è totalmente sbagliato farsi una opinione sull'andamento del mercato solo dalle interviste dei Ceo. Infatti se oggi intervistassero tutti i Ceo di tutti i marchi dell'orologeria elvetica non ce ne sarebbe uno disposto ad ammettere che le cose vanno molto male e devono ristrutturarsi. Tutto direbbero quello che dice il Ceo di Ap, cioè che il mercato  va male, ma la propria azienda va benissimo. Ma poi sulle cifre ci si contraddice.
« Ultima modifica: Ottobre 06, 2016, 10:04:26 am da mbelt »
Contro ogni talebanismo, ora e sempre

Patrizio

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Re:«La crise horlogère n’est pas une crise économique»
« Risposta #33 il: Ottobre 06, 2016, 10:13:19 am »
esattamente
parlate discutete ma senza darvi reciprocamente dei minus habentes
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mbelt

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Re:«La crise horlogère n’est pas une crise économique»
« Risposta #34 il: Ottobre 06, 2016, 15:54:31 pm »
Peraltro se AP dopo la pesante ristrutturazione si è ripresa o si sta riprendendo, questo a me può solo fare piacere. Continuo a pensare che sia un marchio con una potenzialità straordinaria che è solo stato gestito per tanti anni molto ma molto male.
Contro ogni talebanismo, ora e sempre

ciaca

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Re:«La crise horlogère n’est pas une crise économique»
« Risposta #35 il: Ottobre 06, 2016, 17:08:35 pm »
AP fa oggi esattamente quello che aveva iniziato a fare 30 anni fa, vive di Royal Oak Che è l'unico modello commerciale e quindi vendibile in decine di migliaia di pezzi/anno.
Ovviamente per farne a decine di migliaia servono più linee e una moltitudine di modelli, ed in questo la salvifica presenza degli Offshore (una grande intuizione che la casa ebbe negli anni 90) che vendono benissimo e hanno margini enormi vista la loro pochezza di pregio meccanico.

I classici li fanno solo per scena e per riempire un catalogo Che non può avere solo Royal Oak, come Rolex fa i Cellini.
A differenza di Patek, che vive anche dei complicati, AP non ha lo stesso appeal su quella fascia di mercato nonostante abbia le potenzialità di R&P alle spalle, perché non ha saputo investire sulla valorizzazione del suo patrimonio storico di splendidi e rarissimi complicati d'epoca (cosa che hanno invece fatto gli Stern con Patrizzi per tutti gli anni 80 e 90), e quindi sulla tenuta del valore dell'usato e del "valore collezionistico" che su quella fascia di prezzo diventa indispensabile. I complicati AP a differenza di quelli PP non si vendono nemmeno al 50% del listino, sono praticamente degli ossi invendibili anche perché sono un bagno di sangue assicurato, e il mercato ormai si è capito che bada a questo fattore più di ogni altro.

È una casa ormai prigioniera della sua icona e della sua dimensione, come Rolex su scala diversa, che non può o non deve fare nulla di diverso da quello che già fa. Finché dura è fortuna.
« Ultima modifica: Ottobre 06, 2016, 17:10:58 pm da ciaca »
"A megghiu parola è chidda ca un si dici"

guagua72

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Re:«La crise horlogère n’est pas une crise économique»
« Risposta #36 il: Ottobre 07, 2016, 08:04:51 am »
Quello che dice Angelo, in particolare il paragone con Rolex, sebbene ci siano profonde  ed ovvie differenze con la casa coronata è quantomai azzeccata. E' un'iperbole che però ci fa pensare quanto possa essere accettabile economicamente decidere di sfruttare un solo stilema.
Detto questo, trovo desolante appoggiarsi ad un solo modello, ed in questo Rolex è sempre molto brava a riuscire a fare percepire agli utenti tanti modelli sostanzialmente con la stessa cassa. Ma Rolex qui riesce a fare pesare l'enorme bagaglio immaginifico riconosciutogli nel tempo. Audemars Piguet ha tutta un'altra storia che paradossalmente è stata affossata col Royal Oak, modello talmente iconico che ha fatto impallidire gli altri oggetti classici che pure avevano una loro storia e qualità intrinseca. Ricordo come già negli anni novanta i concessionari AP esponevano all'esterno una targa col simbolo del marchio circoscritto all'interno di una cassa Royal Oak, quasi fosse quello il vero logo del marchio.