Al che siamo di nuovo al punto di partenza: fissato un criterio (che é assolutamente arbitrario e soggettivo) praticamente tutto può diventare collezione.
(…)
E poi l'asino volante.....
È molto importante non appiattirsi sui luoghi comuni, non accontentarsi di definizioni superficiali, mettere in discussione ciò che sembra scontato.
Ma bisogna al tempo stesso fare attenzione a che le critiche siano “costruttive”, cioè esprimano lo sforzo di arrivare a concettualizzazioni migliori.
Altrimenti, se sono solo demolitorie, si riducono a sterile – quand’anche brillante - esercizio oratorio, a sofisma.
Le tue annotazioni critiche sulla “collezionabilità” (o su altri concetti che potrebbero essere utilizzati con troppa disinvoltura, come il rapporto “qualità/prezzo”, la “manifattura”, ecc.), sono un utilissimo stimolo alla riflessione.
Ma sono indebolite da due “chiodi fissi” ricorrenti.
Il primo è quello sulla
“soggettività”, un tormentone del dibattito pseudo-culturale degli ultimi decenni.
Dico tormentone, perché è riproposto ossessivamente dai principali canali informativi e agenzie di produzione culturale, con intenti manipolatori dettati da precisi interessi ideologici ed economici (e purtroppo non è questa la sede per dilungarsi).
In tutto ciò che osserviamo e comprendiamo c’è un elemento di soggettività, di individualità. Persino nella più rigorosa delle scienze naturali, la fisica, ove sappiamo che l’osservatore influenza l’oggetto dell’osservazione.
Ma ciò
non significa che tale oggetto non sia osservabile, non abbia proprietà intrinseche o – addirittura – non esista (anche qui non ho spazio per approfondire; potrei fornire qualche riferimento bibliografico…
).
Nelle “scienze” umane il margine di soggettività è ovviamente maggiore. E questo è un bene, perché esprime la libertà, la dignità e la ricchezza delle singole persone. Ma ciò non significa che non esistano – anche qui – conoscenze oggettive, strutturate, verificabili (o, come direbbe Popper, falsificabili).
Vale anche – scusatemi se ogni tanto lo ripeto – per l’estetica, che
non coincide col “gusto” personale e non ha una dimensione meramente soggettiva (e ci sarebbe da approfondire pure sui meccanismi di formazione del “gusto”, che non sono certo casuali).
Per cui:
la difficoltà a definire un fenomeno ha poco o nulla a che vedere con la questione della sua “soggettività” (che esiste sempre, ma come componente più o meno marginale),
ma piuttosto con la sua complessità.
Il frequente ricorso alla soggettività è il modo con cui - prendendo a prestito un concetto che ci viene continuamente suggerito/imposto – rischiamo di giustificare il desiderio (magari anche legittimo, per carità!) di non approfondire un argomento. Faremmo bene a non abusarne.
Il collezionismo nel settore dell’orologeria si fonda su criteri a volte poco chiari, discutibili, in cui lo spazio demandato all’arbitrio del singolo collezionista è eccessivo?
Perfetto: evidenziamolo, chiediamone conto ai collezionisti (se le questioni sono poste in maniera costruttiva, magari avranno piacere di rispondere e saranno essi stessi arricchiti), proponiamo categorie più rigorose. Ma non ha senso sostenere che il collezionismo “non esiste”.
Esistono collezionisti improvvisati, che si attribuiscono la “patente” con troppa facilità?
Certamente, segnaliamolo. Ma non ha senso sostenere che i collezionisti (con o senza barba) “non esistono” o sono “asini volanti”.
Mi viene in mente una vecchia discussione sul concetto di
“vintage” e sulla periodizzazione degli orologi.
Fu una discussione molto interessante e costruttiva, durante la quale - col tuo decisivo contributo… eri di buon umore?
- riuscimmo a perfezionare quei concetti in maniera seria ed efficace, più di quanto sia stato fatto in altre sedi anche autorevoli. E questo nonostante la ‘resistenza’ di un forumista che – per motivi suoi personali - riteneva la cosa “impossibile”…
Il secondo “chiodo fisso” ricorrente è quello sugli
“speculatori”.
Qui penso di poter essere più breve, perché il ragionamento discende dal precedente.
Esistono collezionisti speculatori, che si attribuiscono la “patente” solo per nobilitare o mascherare la loro attività?
Certamente. Facciamo bene a segnalarlo, perché gli interessi economici spesso sono inquinanti. Ma – ancora - non ha senso sostenere solo per questo che i collezionisti “non esistono”.
Chi costruisce una “raccolta” di orologi avendo come
unico fine la sua rivalutazione economica, senza alcun criterio (se non posticcio) collezionistico, sarà uno speculatore.
Probabilmente è la figura largamente maggioritaria nel settore.
Ma non possiamo negare che esistano altresì persone – rare quanto si vuole… probabilmente non le conosciamo neppure – che costruiscono una “collezione” vera a propria, seguendo – o cercando di seguire - criterî collezionistici (sia pure con modalità più o meno discutibili, come dicevamo in precedenza).
Questi collezionisti prestano
anche attenzione al valore economico della loro collezione? Non sono collezionisti “puri” e “disinteressati”?
Non è un elemento decisivo per negare che esista una collezione.
Una collezione non deve necessariamente essere povera o in remissione. Si può segnalare il pericolo che l’elemento economico diventi soffocante; ma questo pericolo non deve diventare un’ossessione che ci impedisce di parlare di collezionismo.